La chiesa, il cerchio magico e il club Bertone

 

di Andrea Filloramo

Il cardinal Tarcisio Bertone, all’inizio del suo servizio come segretario di Stato, è stato subito attaccato per certe nomine “errate“, fra queste quella del vescovo tradizionalista austriaco Wagner, nominato vescovo ausiliare di Linz e poi, dopo 15 giorni, su imposizione di Roma, costretto a rinunciare all’incarico per le enormi pressioni fatte contro di lui. Da allora e fino a quando mantenne la funzione di Segretario di Stato, il ben noto porporato cercò in tutti i modi di tutelarsi da ulteriori errori e ha preferito far diventare vescovi gente fidata e “conosciuta“. Essendo un salesiano, fece assurgere alla dignità episcopale più di 120 salesiani in tutte le parti del mondo, tant’è che l’acrostico SDB, con ironia è diventato: “siamo di Bertone“. Collocò, inoltre, in posti chiave della Curia Romana, suoi amici tutti salesiani. Su iniziativa dello stesso, il 23 maggio 2010, ben 90 vescovi e cardinali salesiani, riuniti a Valdocco, grati al Sommo Pontefice, Benedetto XVI, gli inviarono una lettera da loro sottoscritta. Il motivo principale era – a loro dire – “di esprimere l’affetto, la vicinanza, la piena disponibilità che don Bosco ha insegnato a vivere, fin dai primi tempi della sua esperienza carismatica nei confronti del Santo Padre e di tutta la Chiesa”. Fin qui tutto bene, se quelle elevate alla dignità episcopale o scelte per coprire gli incarichi più prestigiosi della curia romana, sono risultate persone degne, capaci, consapevoli del ruolo che la Chiesa ha affidato loro, uomini “probati”, con esperienze pastorali, al di fuori delle “beghe” o degli “interessi di parte” o di “ bottega” della Congregazione di appartenenza, che – lo sappiamo – sta vivendo, forse anche per responsabilità di Bertone, il momento economico più difficile della sua storia. Sicuramente essi dovranno rammentare che i preti secolari, loro affidati nelle varie diocesi, hanno avuto una formazione diversa dalla loro e svolgono una vita diversa da quella dei preti religiosi. I preti diocesani o secolari, infatti, vivono nel mondo, possono avere una casa propria, non hanno il voto di povertà, spesso devono “sbarcare il lunario”, hanno paura della decadenza fisica data dall’età o dalla malattia, in quanto temono che nessuno si prenderà cura di loro. Non di rado vivono con i genitori, talvolta vecchi o ammalati o con altri familiari. I sacerdoti regolari, come i salesiani, invece, vivono secondo una “regola” approvata dall’autorità ecclesiastica. In genere abitano nei loro confortevoli Istituti, hanno la certezza del cibo, del vestiario, dell’autovettura, dei soldi in tasca, dell’assistenza che avranno durante la loro vecchiaia e delle sigarette qualora fumano. Il prete secolare, inoltre, per definizione, è un… animale relazionale in quell’ “aia” che è la parrocchia, che cerca di attrezzare nella maniera migliore per il bene dei fedeli. Egli è convinto che nessun vescovo – ed è bene che sia così – può privarlo della sua parrocchia dall’oggi al domani, senza delle ragioni condivise, non può obbligarlo con il ricatto del “prenderlo per fame” o costringerlo a dare le dimissioni, senza, oltretutto, sapere quale sarà la sua destinazione e questo anche nel caso del “promoveatur ut amoveatur”. Il vescovo, nella rimozione di un parroco è costretto a osservare i canoni 1740 e 1742 del diritto canonico, Questo recita: “Se dall’istruttoria svolta è risultato esservi la causa di cui nel can. 1740, il Vescovo discuta la cosa con due parroci scelti dal gruppo a ciò stabilmente costituito dal consiglio presbiterale, su proposta del Vescovo; che se poi ritenga si debba addivenire alla rimozione, indichi per la validità la causa e gli argomenti, convinca paternamente il parroco a rinunziare entro quindici giorni”. Non è questa la sede per fare l’ermeneutica di ogni “postilla” di questi canoni, dico solo che fa riflettere l’avverbio “paternamente”, che è contrario e, quindi, non sinonimo di “ minacciosamente”. I vescovi salesiani, se buoni vescovi, non possono considerare la diocesi come un’ ”ispettoria”, struttura tipica dell’organizzazione salesiana, né possono, quindi, considerare se stessi come degli “ispettori”. Nessuno dei significati lessicali che vengono dati al termine “ispettore” è adattabile ad un vescovo, che non è un “funzionario che ha il compito di vigilare l’andamento di un servizio pubblico o privato, non è un ispettore di polizia”, non può “fare e disfare” a suo piacimento… Un’altra considerazione sulla scelta del card. Bertone di tanti vescovi salesiani. Sicuramente c’è da rimanere molto perplessi del fatto che l’ex Segretario di Stato abbia voluto crearsi un “cerchio magico”, una sorta di "club Bertone” che ha radunato tutti i “fedelissimi” perché salesiani al fine di esercitare la sua leadership. Non ha tenuto conto che le leadership padronali sono destinate, prima o poi, a sfarinarsi. I cerchi magici che si stringono intorno ai leader sono come l’arcobaleno, compaiono all’improvviso e scompaiono presto, lasciandosi dietro le pozzanghere della pioggia. Speriamo che ogni vescovo, all’interno della sua diocesi, non voglia anche lui crearsi un “cerchio magico” per esercitare il suo potere; questo per evitare che si creino le “pozzanghere” della pioggia, pericolose per tutti.