CHIESA & PRETI. Preso fra gli uomini, costituito a favore degli uomini per le cose che riguardano Dio…

Ho concordato con p. Ettore di incontrarci il 4 agosto sulla tarda mattinata per continuare l’intervista del mese scorso. Appena seduto, mi chiede se ho fatto gli auguri ai preti e se ho pregato per loro. Davanti alla mia sorpresa, lui mi risponde che nella data odierna si festeggia S. Giovanni Maria Vianney, patrono di tutti i preti e mi racconta di essere stato parecchie volte ad Ars sur Formans a visitare i luoghi ove è vissuto il santo curato. Fra tutte le presenze ne ricorda una in particolare, quella dell’aprile 2012 quando il suo caro amico Ninì visse un’esperienza di così intensa spiritualità che sembrava lievitasse. Dopo questi preamboli, comincio a porre le prime domande che ho preparato.
La volta scorsa, attingendo alla tua esperienza, ti sei soffermato sostanzialmente sull’immagine deturpata del prete (funzionario, stregone, spettatore al balcone) che bisogna rigettare. Oggi vorrei chiederti: chi è per te il prete? Quale modello proponi?
Sì, la volta precedente ho sgomberato il campo dalle immagini ambigue (ma reali) che descrivono il prete. In molti forse avranno pensato: questa è la pars destruens. Oggi spero di fornire qualche spunto per la pars construens. Premetto che quanto dirò non si riallaccia direttamente al “trattato sul ministero presbiterale”, senza negarne l’importanza e il valido contributo ad esso dato da p. Marcello Pavone, docente di tale disciplina a Messina. A mio giudizio il prete deve ricoprire fondamentalmente due ruoli che scaturiscono dalla sua identità, la quale si rifà alla Lettera agli Ebrei: “… preso fra gli uomini, costituito a favore degli uomini per le cose che riguardano Dio…”. Da questa identità “diversificata” (così come gli uomini non sono uguali, neppure gli uomini-preti possono essere uguali), ne derivano le qualità (o ruoli). Per me ve ne sono due fondamentali: servo e profeta.
Queste caratteristiche, però, si possono dire di tutti. Qual è la novità del prete?
È ovvio che si possono dire di tutti i battezzati. E questo conferma ulteriormente che il prete “nasce” all’interno di un popolo, di una comunità. Il prete però è colui che sceglie di fare della propria vita un servizio continuo e una profezia che annuncia e denuncia. Se vuoi posso farti qualche esempio.
Sì. Ti chiedo di essere molto concreto perché io per primo corro il rischio di rimanere incantato dalle belle parole, lontane però dal vissuto quotidiano.
Mi vengono subito in mente le parole (sacrosante) apprese durante gli anni della formazione. Fra i tanti “educatori” (meglio dire così che “insegnanti” visto che si trattava di un “salesiano doc”) dell’Istituto teologico S. Tommaso vi era don Domenico Amoroso, di venerata memoria. Altri confratelli potranno dirti meglio di me altre cose su di lui. Tuttavia ricordo un ritornello – quasi un “refrain musicale” – che lui soleva ripetere a coloro che stavano verificando la propria chiamata al ministero presbiterale. “Ricordatelo bene….chi non ha la vocazione a essere cameriere non vada avanti. Il prete sostanzialmente è un cameriere che serve e al quale nessuno è tenuto a dire grazie”. Vedi questo aspetto per me è fondamentale. Se poi apriamo i vangeli, i rimandi al servizio sono innumerevoli.
Eppure vi sono tanti preti che invece di servire in modo disinteressato si servono della posizione che occupano per il proprio tornaconto (anche economico) e per asservire gli altri.
Sì, è vero. Questo è il mistero del male che contagia anche i preti. Negli ultimi tempi le gravi colpe hanno assunto tonalità drammatiche. E fra queste, la pedofilia è quella più raccapricciante. Vi sono, tuttavia, altre deviazioni che non passano inosservate (corruzione, arricchimento illecito, collusioni con il potere criminale…). La Chiesa deve farsi carico di tutte queste sofferenze atroci. La domanda, però, mi pare chiedesse senza appello: il prete è uno che serve o che asserve? Senza ombra di dubbio il prete è un servo di Gesù Cristo e di conseguenza al servizio dell’amore reale degli uomini. Perché così ha fatto il Maestro e il prete ne deve essere testimone.
Praticamente, cosa comporta questa affermazione?
Implica una scelta politica di rottura radicale con una società di privilegi, dove il potere si esercita in forma di dominazione. Gesù ne ha dato l’esempio. In questi giorni ho finito di leggere il libro di p. Congar, «Per una Chiesa serva e povera», ritradotto dal francese a distanza di 51 anni dalla prima edizione. È una piccola miniera per coloro che vogliono capire l’evoluzione (o involuzione) della Chiesa. Lo raccomando a tutti, particolarmente ai ministri ordinati. Questo scritto risulta ancora “fresco” in tanti passaggi e soprattutto per il coraggio profetico con cui rilegge il racconto della “lavanda dei piedi” (Gv 13, 12-17), ove Gesù secondo il comune intendere ordina ai discepoli: “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Qui c’è un’intuizione bellissima, allorché il grande teologo domenicano afferma: “È il momento della consacrazione… L’ordinazione degli apostoli è un’ordinazione in vista del servizio”. Si parla di ordinazione, quasi fosse un sacramento, non di ordine!
Non colgo bene questa sottigliezza, ma vedo che sei entusiasta. Perché?
Prima di rispondere a questa domanda vorrei completare il discorso su quella precedente. Tanti teologi si chiedono se la”lavanda dei piedi” sia un sacramento? Nel 2012, Nault François ha pubblicato «La lavanda dei piedi. Un ‘asacramento’» che sembrerebbe contraddire quanto detto sopra. In realtà l’autore dimostra che il gesto del giovedì santo non è altro che “il rito della crisi del rito”, cioè manifesta la “subordinazione di ogni rito alla relazione etica”. Se vuoi comprare questo libro sul web è in offerta fino al 20 c.m. Torno alla domanda principale. Alla stessa maniera di quanto avvenuto nel cenacolo, i preti si trovano servi delle loro comunità, dalle quali devono essere scelti e queste ultime – nello stesso tempo – definiscono ciò che loro si aspettano dai ministri.
Vuoi dire che deve essere la comunità a scegliersi il proprio prete? Ma questo è utopistico!
Sì, potrebbe esserlo. Nel libro del p. Congar summenzionato trovi lo sviluppo storico avvenuto lungo il corso dei secoli a proposito di tale prassi. Per i vescovi, addirittura, l’attuale procedura è ancora più assurda, se come dice la teologia il vescovo è lo sposo della sua chiesa (sposa). Tantissimi studiosi scrivono che proprio l’immagine nuziale del vescovo è cinicamente contraddetta dalla consuetudine vigente.
Torniamo alla scelta del prete da parte della comunità. La cosa è nuova eppure intrigante…
Al di là dei discorsi di alta teologia che puoi trovare pure nel testo del p. Congar, ove si afferma che “tutto il popolo ecclesiale, e specialmente i laici, interveniva nell’elezione dei vescovi e nella designazione dei ministri”, tento a farti riflettere partendo da una constatazione. Quanti preti (soprattutto parroci) si ritrovano a svolgere un servizio e dopo poco tempo scoprono di essere fuori luogo? Perché? Il motivo fondamentale consiste nell’assenza di conoscenza reciproca fra le due parti. Come quando due fidanzati si sposano senza conoscersi bene e – se in sede processuale dimostrano questo – il vincolo matrimoniale viene sciolto. Negli àmbiti legati al servizio presbiterale, invece, davanti a disagi simili avviene che il prete lascia ( o è costretto a lasciare) quel luogo, magari in malo modo. Pochi ammettono che alla base dell’avvenuto allontanamento reciproco non c’è stata una ponderata scelta di entrambe le parti. Una volta ho assistito a un fidanzamento ufficiale. Il futuro sposo con i suoi genitori si recò a casa della fidanzata per chiedere ai familiari di quest’ultima la mano della ragazza. Ebbene, la cosa che mi colpì fu che la sorella della fidanzata, fra il serio e il faceto, chiese ai familiari del futuro cognato: “ Siete tutti contenti e convinti di questa scelta”? Simile “domanda” nella prassi vigente delle “nomine” è ampiamente disattesa. Per non dire che tanti preti vivono certe “promozioni” come fossero un castigo. Quasi sempre scandite da ironici e ipocriti auguri Per non andare troppo lontano: a te è stato chiesto se eri contento della mia venuta a S. Giacomo?
No!
Meno male! Avresti detto: Ettore Sentimentale! Chi era costui? Oggi invece hai parecchi elementi per poter dire: il vescovo ci ha portato in regalo un bel… pacco!
Questo argomento è completamento nuovo e mi sento un po’ spiazzato. Spero che potremmo trattare, magari un’altra volta, anche la materia dell’elezione episcopale. Mi interessa molto. Intanto aiutami a capire gli effetti di questa “scelta dal basso”.
Sì, non dimentichiamo che stiamo parlando del prete come servo. E qui il collegamento è semplice: essere riconosciuto come tale (servo) è ciò che conferisce autorità reale, secondo lo spirito del vangelo. Oggi i pedagogisti preferiscono parlare di “autorevolezza”. Solo così a mio giudizio il prete può trovare (o ritrovare) la sua giusta responsabilità apostolica. Essendo riconosciuto dalla sua stessa comunità come servo, il prete cessa di essere un distributore di messe e sacramenti. Può aiutare i cristiani a discernere i motivi profondi della loro richiesta dei sacramenti…
Passiamo alla caratteristica del prete come “profeta”. So che l’anno scorso hai organizzato una tre giorni sulla profezia della e nella comunità cristiana oggi. Cosa comporta questa qualità?
Sì, aiutati da p. Fortunato Malaspina abbiamo riflettuto sulla dimensione profetica dei battezzati e quindi della comunità. E questa – come dicevo prima – dovrebbe scegliere il “suo” prete che attento a ciò che lo Spirito dice oggi alla chiesa, ne trasmette il messaggio divino. Il prete brilla di luce riflessa: è colui che legge i segni dei tempi “con occhio penetrante” (Nm 24,2). A questo aggiungo che i primi destinatari di questa azione presbiterale sono i “poveri”.
Concretamente come si realizza questo servizio?
Avendo chiaro in mente che il Vangelo non è mai neutrale, ma esige di essere condiviso.
Cioé?
Di essere vissuto – a cominciare dal prete – nella giustizia e nel desiderio di liberare tutti gli oppressi e offrire loro i doni del regno di Dio.
Onestamente quello che dici presta il fianco ad essere ricondotto a uno stereotipo sindacalista in salsa religiosa.
Se così fosse sarebbe il male minore. Per me non sarebbe un insulto, visto che qualche anno addietro un grosso sindacato ha inserito nella carpetta dei lavori congressuali la fotocopia un mio intervento (apparso sul web) circa la situazione della politica e del disincanto dei cristiani messinesi in questo momento… Ma, tornando al nostro discorso, purtroppo la società rifiuta il Vangelo a causa dello “scollamento” evidente dello stile di vita e della posizione dei preti, perché “dicono e non fanno”. Per essere più precisi: “diciamo e non facciamo”.
A cosa è dovuto questo gap?
Al di là della mancanza di coraggio personale nella testimonianza, penso che il prete deve riappropriarsi della sua identità di “uomo fra gli uomini”, se vuole che il suo messaggio sia compreso. A coloro che sono ordinati preti bisogna richiedere un senso autentico di solidarietà, un impegno al servizio degli altri. Queste affermazioni (certo non esaustive) sull’umanità del prete mirano a renderlo responsabile della propria storia. Non sempre è stato ed è così.
Ma questo stravolge l’immagine del prete che tutti hanno. Che se sarebbe dello stato clericale?
Sì, lo stravolge perché il clericalismo è l’esatto contrario della profezia. Se si accetta però di impastarsi con la società (come il lievito con la pasta di cui parla il vangelo), allora bisogna definitivamente ostruire le porte al clericalismo e decretarne la morte. Si è arrivati a questo stato perché è stato tradito il dettato originale della Lettera agli Ebrei, ove l’autore scrive che – sul modello del sacerdozio di Gesù – il nuovo sacerdote è “scelto fra gli uomini, costituito a loro favore, avendo dato prova di poter compatire, di sentire giusta compassione, di solidarizzare con essi, esposti alla debolezza, essendo anch’egli avvolto di debolezza”. Di questi uomini invece se ne è fatta una “casta”. Il popolo, soprattutto, li circonda di una certa “aureola” e li vede come creature angeliche, quando invece la Bibbia offre ben altri parametri.
Ti ringrazio. Per il momento ci fermiamo, visto che si è fatto tardi. Vorrei tornare a farti qualche domanda sul rapporto vescovo-laici. Il tempo di trascrivere l’intervista e poi la metterò sul sito. Hai preferenze per il giorno in cui pubblicarla?
Rispondo partendo dalla fine. Se per te non vi sono problemi, mi piacerebbe venisse pubblicata il prossimo 8 agosto: è l’anniversario di ordinazione di molti preti messinesi, fra cui mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. Sarebbe un modo originale di fare loro gli auguri. Per il resto ti consiglierei di attendere un poco. Voglio assimilare bene (esperienzialmente) i contenuti del libro del p. Congar ove si trovano tanti spunti. Tu intanto prepara una traccia di domande e fra qualche settimana ci sentiremo.