Sulle orme del Vangelo: Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!

Mt 14, 13-21
Avendo udito della morte del battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: "Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare". Ma Gesù disse loro: "Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare". Gli risposero: "Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!". Ed egli disse: "Portatemeli qui". E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

di Ettore Sentimentale

L’episodio in oggetto, conosciuto come la “moltiplicazione dei pani”, rivestiva una importanza particolare nella prima comunità, per il semplice fatto che viene ripreso sostanzialmente da tutti gli evangelisti. Nel nostro caso, Matteo rielabora una precedente “moltiplicazione” a opera di Eliseo (2 Re 4,42-44), dando però maggiore enfasi a quella operata da Gesù. A partire dalle proporzioni: nel primo testamento vengono sfamate 100 persone con 20 pani, a fronte delle oltre 5000 con 5 pani nel NT. Riprendo brevemente i passaggi salienti. Il luogo in cui Gesù si ritira, alla morte del Battista, è il deserto. Tale contesto ambientale fa subito pensare a Gesù come nuovo Mosé, che nel deserto saziò la fame del popolo intervenendo presso Jahwe, il quale fece piovere la manna (Es 16,3-4). In Matteo però c’è una novità assoluta: non si tratta più del “pane che discende dal cielo”, ma di quello che parte dal basso. È frutto della condivisione.
Un altro particolare del contesto è dato dalla precisazione del momento in cui avviene la “moltiplicazione”. Matteo scrive “sul far della sera”. È l’identica espressione che usa per descrivere il momento dell’ultima cena, nella quale compaiono gli stessi verbi (prese, benedì, spezzò, diede) presenti pure nel racconto che stiamo esaminando.
È chiaro che il primo evangelista sta anticipando quanto avverrà nel Cenacolo, prova ne sia che per far risaltare questo forte richiamo eucaristico parla solo della benedizione dei pani, omettendo i pesci.
Mi sembra opportuno – a questo punto – chiarire che Matteo non usa l’espressione “moltiplicazione” (ecco perché compare sempre fra virgolette), anzi potrebbe risultare ambigua.
L’azione di Gesù ha due momenti strettamente collegati fra loro. Prima benedice Dio e gli rende grazie (lett. “alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione), quasi a voler dire: questi alimenti vengono da Lui e sono di tutti. Poi li condivide (“li spezzò”) e li dà ai discepoli e questi ultimi alla gente. Così Gesù sazia la fame di tutti. Alla base di questo però, c’è la “compassione” (l’espressione greca fa pensare agli spasmi viscerali che una madre prova per la sua creatura) del Maestro per questa immensa folla: 5000 adulti, senza contare donne e bambini. La precisazione matteana sa di provocazione e ironia nello stesso tempo, visto che donne e bambini non venivano contati fra i partecipanti al culto sinagogale.
Questa “condivisione” (preferisco questa espressione a quella più comune di “moltiplicazione”) dei pani non può rimanere collocata in una pagina di evangeliario o essere relegata alla bella e toccante celebrazione eucaristica che settimanalmente si fa nelle nostre chiese. Deve avere un seguito, altrimenti avremmo assimilato poco o nulla della provocazione di Gesù.
Oggi, infatti, vi sono altre folli oceaniche che richiedono compassione. Pensiamo alle sofferenze di migliaia di uomini, donne e bambini che abbandonati alla loro sorte e perseguitati dai governi vengono consegnate al potere usuraio e schiavizzante delle mafie e sono costretti a mendicare, sopravvivere, soffrire, morire lungo le rotte dell’emigrazione. Per rendersi conto basterebbe cercare sul web la parola di papa Francesco a Lampedusa.
Invece di unire le nostre forze per estirpare alla radice la fame nel mondo, non facciamo altro che rinchiuderci nel nostro “benessere egoista”, alzando barriere ogni volta più degradanti e assassine. In nome di quale Dio ce ne sbarazziamo perché affondino nella loro miseria? Dove sono i discepoli di Gesù? Quando risuona nelle nostre eucaristie l’ordine di Gesù: “Date a loro voi da mangiare” ? È questa la traduzione letterale che nel testo ufficiale della CEI è stata incredibilmente tradita.