Time-out. La vara e i giochi di squadra

 

di Ettore Sentimentale

Premessa
Il direttore di IMG PRESS mi chiede da almeno 8 mesi una riflessione su quello che concerne la “Vara”. Fin dal primo momento gli ho detto di pazientare perché tale argomento andava affrontato a mente serena, lontano dallo stress degli impegni pastorali. Penso sia giunto il momento propizio. Aggiungo inoltre che l’approccio con il quale mi cimenterò in tale compito è prettamente personale, eppure fondato sul magistero ordinario della Chiesa, tramite i suoi responsabili. Il linguaggio è direttamente pensato per gli “addetti ai lavori”, ma spero risulti comprensibile o almeno provocatorio anche agli altri. Se così non fosse allora invito tutti a pazientare. Forse un po’ di più rispetto al direttore. Il tempo prima o poi farà capire bene ogni cosa.

Inizio queste considerazioni personali col porre domande, facendo tesoro di quanto scrisse Thomas Merton: “La «grandezza» dell’uomo non è data dalle risposte, quanto delle domande” che fa e si fa. Prima domanda: la “processione” della Vara rientra nella categoria delle feste religiose? Se sì, è regolamentata dal documento Le nostre feste religiose emanato il 24.05.1993 da mons. Ignazio Cannavò, arcivescovo pro tempore, il quale afferma esplicitamente che nella stesura dello stesso ha ripreso quanto i Vescovi Siciliani nella Pasqua 1972 avevano scritto in materia di “feste religiose”. Se no, allora la Chiesa locale si dovrebbe tenere lontano da qualsiasi coinvolgimento diretto o indiretto. Stando alla prassi (che assume la caratteristica della “consuetudine”), la risposta giusta è la prima.
Seconda domanda: la manifestazione religiosa del 15 agosto può definirsi “processione” (ecco perché anche sopra questa parola era virgolettata)? Stando al Direttorio su pietà popolare e liturgia, emanato dalla “Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti”, LEV 2002, n. 247, la natura della processione ha tre dimensioni: teologica, liturgica e antropologica.
Rispettivamente. La prima “mette in luce che la processione è un segno della condizione della Chiesa, popolo di Dio in cammino”; la seconda esorta a orientare le processioni verso la celebrazione della Liturgia, invitando espressamente che il percorso si svolga “sotto la presidenza ecclesiastica, onde evitare manifestazioni irrispettose e degenerative; la terza “evidenzia il significato della processione quale «cammino compiuto insieme» (…) coinvolti nello stesso clima di preghiera, uniti nel canto, i fedeli si scoprono solidali gli uni con gli altri…”.
Come si vede, la domanda circa la natura della “processione” non era così bizzarra.
Torno alla domanda iniziale per fare un ulteriore passo in avanti e porre un’altra questione: chi è il responsabile di tale festa?
Avendo “accertato” in precedenza che la “processione della Vara” appartiene alle “feste religiose”, la risposta non è difficile. Il documento che attualmente regola le suddette manifestazioni afferma perentoriamente: “Secondo le disposizioni ecclesiastiche il parroco o il rettore di chiesa è responsabile delle feste religiose anche nel caso che le spese siano a carico dell’amministrazione civile; egli pertanto propone alla Curia Diocesana i nomi dei componenti il Comitato per la Festa e presiede lo stesso Comitato; le persone segnalate debbono essere di sicura fede e virtù cristiana e debbono godere la stima dei fedeli. L’ordinario diocesano approva i membri del comitato stesso”.
A questo punto tutto è chiaro: ruoli, responsabilità coinvolgimenti, progetti… Tutto è disciplinato dalle norme liturgiche e pastorali le quali – stando alla mordace battuta di un esperto canonista – anch’esse sono stabilite per non essere osservate.
Tante persone (preti compresi) si sono sempre chieste il perché della incredibile difformità nella gestione delle manifestazioni religiose quando nel sottotitolo del documento del 1993 si legge: “A tutte le comunità ecclesiali”. La domanda resta ancora aperta perché le risposte risentono dell’adagio: “La legge è uguale per tutti gli uguali, ma c’è qualcuno che è più uguale di fronte alla legge”. Da quando (1972) i nostri cari vescovi siciliani hanno iniziato a trattare collegialmente il tema delle “feste religiose” sono trascorsi 42 anni. Più di una generazione!
Non mi pare esistano verifiche e dati ufficiali circa la recettività sostanziale del documento in oggetto. Una mia valutazione personale mi porta a dire che la realtà ecclesiale abbia recepito poco o nulla delle indicazioni basilari. Tuttavia, c’è da sperare che almeno entro i prossimi 40 anni qualcosa si muova nella direzione giusta.