Viaggio nelle scuole per parlare del Picciotto e il brigatista

di Roberto Gugliotta

Viaggio nelle scuole per parlare del Picciotto e il brigatista – Fazi editore –: pochi fronzoli e tanta voglia di capire cosa hanno da dirmi i ragazzi. Sono loro i nostri fari nella generazione che sarà. Capire loro significa conoscere il territorio, i sogni, svelare le speranze. Meta del mio viaggio la città di Bari: un luogo pieno di fascino e colorato di storia. Sarà l’istituto comprensivo "Japigia 1 – Verga" il teatro di questa bella iniziativa. Nel libro che ho scritto con Giovanna Vizzaccaro è la scuola a far da sfondo al racconto sugli anni di piombo perché abbiamo ritenuto giusto che i giovani sappiano leggere quei tragici eventi con occhi diversi. In Italia il clima teso tra i lavoratori, l’acceso dibattito politico e le rivolte di piazza degli studenti sono fatti di cronaca che ultimamente sono stati equiparati agli anni di piombo, per aiutarci a non confondere le situazioni ecco un libro che ci ricorda gli stati d’animo e gli eventi che hanno caratterizzato quel periodo. Ognuno di noi è entrato nel romanzo seguendo un percorso personale e ciascuno di noi segue una via d’uscita: lo hanno fatto anche i ragazzi di Bari cercando di spiegare un periodo storico così travagliato con la loro purezza e semplicità. Questo anche grazie alla regia del Dirigente scolastico Patrizia Rossini e del suo attento staff di educatori. Fare nomi spesso porta a dimenticarne qualcuno e così preferisco ringraziare tutti per l’iniziativa. Però non posso tacere che la giornata è stata arricchita dalla presenza di un collega, Leonardo Petrocelli, de La Gazzetta del Mezzogiorno, che ha dato un valido contributo al dibattito con i ragazzi. Il Picciotto e il brigatista non è il vangelo ma un libro che pretende solo di incuriosire, stuzzicare, provocare delle riflessioni. Nulla di più. Per dirla come il professore Francesco "Non dovete interpretare male la lezione di oggi. Non è stato piacevole. Non è stato bello. Le persone perdono le loro vite nelle galere, e quello che può fare un amico all’interno del carcere non è che… rendere diversa l’esperienza della prigione". Sugli anni di piombo ci sono trattati monumentali che hanno riscritto la storia di questo Paese, con tutta la loro carica di distruzione e di morte. Il nostro romanzo è, semplicemente, una fotografia scattata dal carcere, luogo popolato da strani personaggi, metà mafiosi e metà terroristi, che durante la vita negli istituti di pena, hanno preso coscienza del fatto che la lotta armata non ha più alcuna giustificazione. Cioè, hanno dichiarato finita la guerra che avevano aperto. Certo, chi è fuori e armato può continuare a sparare, ma, se lo farà, lo farà anche contro i suoi compagni in carcere, e difficilmente in nome delle Brigate Rosse. Come reagire a queste riflessioni? Rispondere? Non rispondere? E in che modo? Il Picciotto e il brigatista prende spunto da un reale fatto di cronaca, la mancata uccisione di molti brigatisti da parte dei detenuti siciliani, che avrebbero dovuto obbedire agli ordini dei loro capi e che invece hanno preferito combattere la mafia stessa piuttosto che i compagni di prigionia. La vita carceraria è ricostruita attraverso i racconti di ex detenuti, a lungo intervistati. In un arco temporale che si snoda lungo un decennio di sangue, indaghiamo sui misteriosi rapporti tra mafia, Stato e Brigate Rosse, penetrando nella vita dei detenuti e mostrando gli intrighi di quei difficili anni dal punto di vista di due antagonisti che, eccezionalmente, si aiutarono a vicenda. Si tratta di prendere decisioni che hanno sì lo scopo di chiudere gli anni di piombo, ma evitando, fra le altre cose, le morti dei potenziali obiettivi dei terroristi superstiti: perciò è importantissimo discutere e decidere bene. E’ chiaro che qualsiasi discussione sul terrorismo non può non essere segnata da tutto il dolore, tutta la rabbia che i mitra hanno prodotto. Viene rivissuta l’esperienza carceraria di Francesco, un brigatista arrestato per rapina a mano armata ai danni di una banca. Tramite il suo racconto, narrato in prima persona, possiamo addentrarci non solo nella difficile condizione di chi deve vivere una pena detentiva, ma attraverso i suoi occhi si dirada la nebbia che avvolge alcuni misteri che da sempre accompagnano il nostro paese. Il lato umano è il padrone di tutta l’angusta scena, perché le continue vessazioni, i pestaggi subiti dai secondini e la diffidenza verso chiunque, tutto questo, si sopporta meglio se si è in compagnia di un amico. E qui, in prigione, il brigatista stringe un legame con un picciotto siciliano, Vincenzo Gentiluomo. Attraverso la loro amicizia si comprendono le differenze di vita, motivazioni e valori tra un brigatista e un affiliato a Cosa Nostra. Ecco perché la scuola aiuta a ricordare il passato con occhi diversi: c’è desiderio di conoscere, capire, ma non di giudicare. I ragazzi della nostra scuola non sono così “somari” come spesso vengono dipinti. Ci sono fatti di cronaca meno nobili e altri che lo sono di più. E’ lo specchio della nostra società. I ragazzi crescono bene se hanno educatori, genitori, valori. I ragazzi si comportano diversamente se perdono di vista le priorità, gli esempi, le cose vere. Qualcuno le chiama regole: senza paletti il percorso di ognuno di noi diventa meno sicuro. I ragazzi che ho conosciuto a Bari mi sono sembrati attenti, svegli, riflessivi. Pronti per intraprendere il viaggio. E’ stata una bella sorpresa scoprire che a Bari non si vive solo di fiction e cinema: la realtà è meglio della fantasia.

“Non dovete interpretare male la lezione di oggi. Non è stato piacevole. Non è stato bello. Le persone perdono le loro vite nelle galere, e quello che può fare un amico all’interno del carcere non è che… rendere diversa l’esperienza della prigione. Limare il dolore. Non santificate quello che ho passato perché ve ne ho parlato in un certo modo, perché ho scelto di dirvi delle cose al posto di altre… cercate il resto di quello che ho detto, non questo.”

Il picciotto e il brigatista – Fazi editore