La cartina della felicità: la presenza, terzo pilastro della pace

Mentre ci avviciniamo a grandi passi alla conclusione di questo anno liturgico, siamo chiamati a riflettere – secondo il percorso tratteggiato in precedenza – sul tema della “presenza”, terzo pilastro della pace.

Dico subito che tale argomento non va confuso con il “presenzialismo”, virus che aggredisce soprattutto certi ambienti ecclesiali per i quali l’importante è “essere presenti”, cioè aver peso a tutti i livelli della società (politico, amministrativo, ecclesiale…) senza preoccuparsi molto dei risvolti di tale presenza, sia individuale che comunitaria.

La Bibbia quando descrive la “presenza” usa un sostantivo molto interessante: “parousia” che – letteralmente – indica la presenza o l’arrivo come l’avvenire della presenza. Il motivo di questo significato sta nel fatto che – seppur con tonalità diverse – la parola greca indica sempre la presenza attiva ed efficace di Dio nella storia degli uomini e – quasi per caduta – la trasparenza di tale presenza nel comportamento dei credenti.

Restringiamo quindi il campo di indagine e ci soffermiamo sulle immagini che invitano a far risaltare la presenza del Signore attraverso il nostro atteggiamento. Me ne vengono in mente due: sale e luce. “Voi siete il sale della terra (…) voi siete la luce del mondo” (cfr. Mt 5, 13s). Questi versetti si trovano subito dopo la pagina delle beatitudini, quasi a dire che “beati” sono coloro che accolgono la “sfida” di voler dare gusto e sapore alla terra nella quale sono chiamati a vivere rapporti di fraternità secondo le indicazioni del Padre di cui fanno trasparire la luce che illumina ogni uomo e gli indica la via della pace.

Vorrei ancora di più scavare in queste due belle immagini perché sono il presupposto per vivere e operare da figli della pace, avendo come unica finalità l’incremento del regno di Dio.

Quando il vangelo parla di “sale”, ha in mente non solo l’alimento che da sapore alle nostre pietanze, ma pensa pure all’uso che se ne fa per conservare tanti elementi, mettendoli proprio “sotto sale”. Fin all’immediato dopo guerra, prima che arrivassero in tutte le case i frigoriferi, era la tecnica usata per evitare che il cibo si corrompesse. Essere “sale della terra” significa quindi non lasciarsi “corrompere” dalla insensatezza, dall’odio, dall’egoismo, volti attuali della zizzania che cresce subdolamente insieme al grano e per la quale bisogna con pazienza attendere che arrivi il momento della separazione. Tutte le guerre sono assurde perché su vasta scala nascono sostanzialmente da menti assalite dai tre elementi di cui sopra.

E quando il vangelo ci invita ad essere luce, vuol ricordare di essere “epifania” di Gesù Cristo, luce che illumina ogni uomo. Purtroppo in ogni epoca molti uomini scelgono di camminare al buio o con il paraocchi. La fine di questi esseri è scontata: andranno a sbattere gli uni contro gli altri.

La luce è ciò che permette di contemplare il mondo, la creazione e soprattutto l’uomo, creato a “immagine e somiglianza di Dio”. Nella creatura c’è tanta bellezza da vedere e accogliere, senza lasciarsi ingannare – come i nostri progenitori – dal fascino di ciò che può sembrare bello e buono.

Penso che questo passaggio debba dirci qualcosa circa le nostre “rappresaglie” alle provocazioni di coloro che si sentono furbi e intelligenti. Se dobbiamo essere uno “squarcio di luce nelle tenebre” come ci esorta papa Francesco nella “Lumen Fidei”, allora iniziando dal nostro piccolo, non possiamo usare l’arma della prevaricazione.

Gesù, luce del mondo, illumina gli occhi del nostro cuore, ridona a tutti la bellezza e la verità del suo splendore…e per fare questo si serve della nostra mediazione, cioè la presenza che non si preoccupa troppo di apparire ma che rimanda alla sorgente delle motivazioni e alle finalità dell’impegno cristiano: “amatevi come io ho amato voi” perché solo così si costruisce il regno della pace.

Ettore Sentimentale