
E’ il titolo dell’ultimo libro scritto da don Piero Gheddo dove si dimostra che il Vangelo crea sviluppo e felicità nell’uomo e nei popoli. Il titolo scelto da Fazzini e don Piero assomiglia molto a quello che qualche anno fa ha scelto Antonio Socci per un intervento su Libero: “Se Gesù non fosse nato sai che ridere” (24.12.2006) "E se Gesù non fosse nato? Si chiede Socci, Non ci sarebbero né università, né ospedali, e nemmeno la musica", nate nel medioevo cristiano, come le cattedrali e l’arte, realtà inconcepibili senza la storia cristiana. Ma soprattutto se Gesù non fosse nato le donne non avrebbero alcun diritto, sarebbero considerate ancora cose su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte. Inoltre, se Gesù non fosse nato non esisterebbero i diritti dell’uomo, e quindi neanche la stessa Democrazia o la Libertà, avremmo ancora un sistema economico arretrato disumano e bestiale, fondato sulla schiavitù. In quell’articolo Socci raccontava di uno studioso cinese che studiando la storia, la politica, l’economia e la cultura dell’Occidente, elementi che gli hanno permesso di dominare il mondo, aveva capito il motivo principale del nostro sviluppo: "la vostra religione, il cristianesimo. E’ questa la ragione per cui l’Occidente è diventato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è il fattore che ha reso possibile l’emergere del capitalismo e la transizione a una politica democratica". Ma perché l’Europa è arrivata per prima allo sviluppo? Secondo Gheddo, “noi occidentali siamo ricchi perché sfruttiamo risorse e popoli di altri continenti, ma soprattutto perché sappiamo creare ricchezza. E questo non per una superiorità razziale”. Ma“perché siamo nati, senza nostro merito, in una civiltà che in centinaia e migliaia di anni ha compiuto faticosamente un lungo cammino verso lo ‘sviluppo’. Altre civiltà, pur grandi e nobili, sono state bloccate in culture conservatrici e non progressiste”. Padre Gheddo chiarisce meglio, “non basta alfabetizzare e insegnare scienze e tecniche, occorre istruire ed educare a quei valori che hanno permesso ai popoli europei di inventare i diritti dell’uomo e della donna, la democrazia, la giustizia sociale, la scienza e la medicina moderna ecc…”. Facendo riferimento ai Paesi del terzo mondo, in particolare all’Africa, don Piero si affida soprattutto all’esperienza dei missionari, che lavorano sul campo. “Il popolo di quei paesi è povero culturalmente, prima ancora che economicamente. Le due cose vanno assieme: la necessità di educare questi popoli non significa solo l’alfabetizzazione, di cui uomini e donne hanno disperato bisogno. Ma significa insegnare loro a produrre: i Paesi del terzo mondo sono poveri perché non sanno creare ricchezza. La ricchezza – scrive con forza padre Gheddo – è una torta da produrre, prima di distribuirla: questo bisogna dirlo forte e chiaro!” Tra l’altro è lo stesso ragionamento che faceva proprio padre Victorien nativo del Burkina Faso. Gli aiuti dell’Occidente non dovrebbero essere dati da “Stato a Stato”, così arrivano ai primi ministri, ai governanti, che di fatto li sequestrano, senza farli arrivare al popolo. Sarebbe buona cosa darli da “Popolo a Popolo”. Gli aiuti da “Stato a Stato” producono poco, spesso a “cattedrali nel deserto”. Il libro di don Piero elenca innumerevoli esempi di buon anzi ottimo lavoro che hanno e stanno facendo i numerosi missionari, religiosi e laici in questi Paesi. Il premio Nobel per l’economia 1998, Amartya Sen, spiega bene il concetto di sottosviluppo. Quando manca la libertà, automaticamente non si può che creare sottosviluppo. Per il premio Nobel si elimina la fame e si sviluppa un popolo quando c’è libertà di azione tra gli esseri umani. Sen afferma che “i Paesi non democratici non riescono a sfamare i loro popoli. Pensando all’Africa nera, ha perfettamente ragione. Per cui è inutile protestare contro ‘la fame nel mondo’ e accusare i popoli ricchi che non danno sufficienti aiuti economici a quelli poveri, se non si protesta anche contro le dittature, contro la corruzione nei paesi non democratici e la mancanza di libertà civili e di scuole, affinché un popolo possa crescere e produrre cibo sufficiente per tutti”. Certo Sen ha contribuito a superare la visione economicista di sviluppo, ma non basta, ci vengono in aiuto le due encicliche papali: la Populorum Progressio di Paolo VI (1967), e la Caritas in Veritate di Benedetto XVI (2009). I due papi parlano di sviluppo integrale per tutti gli uomini. Scrive Paolo VI: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Se fossero state ascoltate le parole del Papa, avremmo potuto avere il vero sviluppo tra i popoli. Allora il presidente dell’India, definì la Populorum Progressio, la “Magna Charta dei popoli poveri”, proprio“perchè trattava in modo organico, – scrive Gheddo – indicando le vie di soluzione”. Oggi con la Caritas in Veritate, Benedetto XVI critica una certa lettura parziale della Populorum Progressio, recepita, anche nel mondo cattolico, solo nei suoi aspetti materiali e non in quelli religioso-spirituali. “Senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro”. Pertanto, “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”, secondo Benedetto XVI, “il Vangelo è indispensabile per la costruzione della società secondo libertà e giustizia”.
Continua.
DOMENICO BONVEGNA