Qualunque cambiamento porta fiumi di lacrime

di ANDREA FILLORAMO

In un messaggio inviatomi da I.M. il 4 febbraio u.s fra l’altro leggo: “Il mio parroco è molto anziano………….Mi risulta che un vescovo può trasferire un parroco da una parrocchia all’altra ma non può obbligare a dimettersi un parroco di una certa età. Cosa sta avvenendo nella nostra arcidiocesi?”

Seneca nella Lettera a Lucilio sostiene che «il termine “vecchiaia” designa un’età stanca, ma non affranta»; ciò è vero perché fisicamente una persona anziana è stanca, dato che ha lavorato tutta la vita, ma non è destinato all’infelicità, perché basta poco per far felice un anziano, ad esempio non allontanarlo dai suoi parenti e amici.
C. Benozzo in “Panorama di attualità anziani” definisce con esattezza la Terza Età e scrive: «gli anziani […] sono una categoria spesso volutamente ignorata o, addirittura, dimenticata. Finché gli anziani conservano una funzione attiva […] allora sono accettati o tollerati, ma quando […] non si ha più bisogno della loro presenza, troppo spesso diventano un peso inutile e gravoso, di cui si desidera solo sbarazzarsi».
Rispondiamo subito, così come possiamo a quanto richiesto: non è possibile pensare di mandare fuori di casa la propria madre o il proprio padre anziani. Alla stessa maniera non è possibile e non è facile, per un vescovo, obbligare alle dimissioni un parroco anziano, da molti anni in una determinata parrocchia, fatta eccezione di alcune situazioni che non stiamo qui a menzionare.
Si dica chiaramente: i sacerdoti anziani, (ce ne sono diversi nella diocesi) dopo tanti anni di servizio alla Chiesa, raggiunta l’età di 75 anni o andando al di là di questi anni che rappresentano il termine “ad quem”, rinunciano a malincuore alle responsabilità avute perché, rinunciando, si sentono inutili. Essi non sopportano quella privazione dell’ufficio che hanno occupato; ritengono che non è mai giustificato deporre gli strumenti del mestiere. Ma ciò avviene anche per chi esercita altre professioni.
Nella rivista “Don Orione” del settembre ’98 si legge nell’articolo: "L’anziano è persona": «Che sarebbe stato di un papa Giovanni XXIII divenuto pontefice a 77 anni se si fosse usato il metro dell’età che pone fine alle iniziative? Non avremmo avuto probabilmente il Concilio Vaticano II». Aggiungo: non si avrebbero avuti neppure tutti i cambiamenti avvenuti nella Chiesa fino a giungere ai cambiamenti introdotti oggi da Papa Francesco.
Lo sappiamo: in ogni struttura religiosa o laica il qualunque cambiamento di uomini o di cose, porta sempre dietro fiumi di lacrime, ma, paradossalmente, è proprio con il cambiamento che la struttura si ricostruisce.
Questo il vescovo lo sa, per cui, non per rimuovere un parroco ma per aiutarlo a lasciare una parrocchia, allorché ritiene ciò necessario al bene della diocesi, utilizza tutti gli strumenti e le strategie per stemperare le sofferenze e per rendere le uscite il meno dolorose possibili.
Ciò non è facile solo là dove il parroco ha identificato se stesso con la parrocchia, che generalmente è di prestigio o che prevede pretendenti, dove è stata mitizzata ed è stata resa indispensabile la sua figura, dove egli ha svolto il ministero in modo personalistico, dimostrando un continuo bisogno di approvazione, di conferme e ammirazione da parte degli altri. Per farsi ben volere e per esercitare il suo presunto potere, quell’ipotetico parroco è stato disposto pur di stare nell’orbita degli altri, ad accettare situazioni intollerabili.
C’è una parola molto antica che descrive bene tutto ciò: hỳbris.
termine greco che indica la tracotanza presuntuosa di chi ha raggiunto una posizione e si sopravvaluta. La cosa interessante è che questa parola implica anche la fatalità di una successiva punizione. Non a caso è un tema ricorrente della tragedia greca. Si riferisce in generale a un’azione che produce conseguenze negative su persone ed eventi del presente. E’ chiaro: il prezzo che i superbi devono pagare è il fallimento, la caduta.
Ma esistono preti e parroci siffatti? Non lo so… potrebbero anche esistere. Come al solito non intendo personalizzare un fenomeno, né altri leggendomi tentino questa operazione. La personalizzazione inficerebbe l’analisi di un fenomeno vasto, che qui semplicemente abbozzo, che merita molto di più di una sterile “caccia alle streghe”, alla quale non invito.
Il prete anziano, quindi, che su invito e per ubbidienza al suo vescovo, lascia definitivamente una parrocchia lasci lo spazio tutto intero al confratello che lo sostituisce e, lasciata la parrocchia, si armi di ben radicate e collaudate virtù umane, che si aggiungono a quelle presbiterali.
Non si faccia prendere la mano dalla gelosia, che come scrive Oriana Fallaci “piega le gambe, toglie il sonno, distrugge il fegato, arrovella i pensieri, avvelena l’intelligenza con interrogativi sospetti, paure, e mortifica la dignità con indagini, lamenti, tranelli facendoti sentire derubato”.
Egli, nell’accogliere il successore deve impegnarsi ad avere lo stesso comportamento del Battista nei confronti di Gesù. Giovanni dichiarò più volte di riconoscere Gesù come il Messia annunciato dai profeti, ma il momento culminante fu quello in cui Gesù stesso volle essere battezzato da lui nelle acque del Giordano; poi Giovanni sottolineò il proprio rapporto di dipendenza affermando: "Egli deve crescere e io invece diminuire".