Diritto di residenza, prevederlo anche per cure superiori ai due anni

Esistono delle situazioni davvero singolari, come quelle che riguardano a esempio un ospite di una comunità o di un ospedale psichiatrico giudiziario, come tutti gli altri cittadini, per la legge italiana, dopo due anni di permanenza continuativa presso una abitazione dovrebbe essere costretto a prendervi la residenza. Considerato che, se un individuo, durante il suo soggiorno negli istituti sopra indicati perde per qualche motivo la sua abitazione il comune in cui era residente costringe il comune in cui il cittadino è ospite ad attribuirgli una residenza o procede alla cancellazione dalle liste dei residenti nel comune lasciando la persona senza residenza e conseguentemente senza quei diritti di cittadino collegati con la residenza, a esempio per quanto concerne il medico di medicina generale. Questa situazione però, appare molto problematica sia per gli internati che per gli ospiti delle strutture comunitarie, poiché cittadini, pur cercando di intraprendere un programma di re-inserimento, sono di fatto allontanati dal territorio e, nel migliore dei casi, trapiantati in un altro con questa procedura amministrativa. Per queste ragioni, con il collega Perduca ho rivolto un’interrogazione ai Ministri della Salute, della Giustizia e degli Interni, per sapere:

– se il Ministro voglia prendere in considerazione di mantenere le residenze nei territori di origine per le persone che sono detenute, internate o momentaneamente assenti per motivi di cura anche se il periodo di cura supera i due anni;
– se, in caso di perdita di una effettiva residenza fisica nel territorio di origine, la persona possa essere iscritta come residente in quel territorio, anche senza fissa dimora o in maniera assimilata;

Sen. Donatella Poretti – Parlamentare Radicali – Partito Democratico