IL PRESIDENTE NAPOLITANO IGNORA I LIBRI CRITICI E REVISIONISTI DEL RISORGIMENTO

Il presidente Napolitano commentando sul Corriere della Sera l’anno appena trascorso del 150° dopo aver scritto che le celebrazioni sono state un grande successo di popolo, tesi che andrebbe verificata attentamente secondo Marco Invernizzi redattore del giornale online Labussolaquotidiana, ha citato alcuni libri che facevano riferimento al 150°, guarda caso tutti elogiativi del risorgimento, ignorando completamente altri, quelli critici, ottimi libri scritti magari non da importanti docenti universitari che hanno a disposizione i media per pontificare, ma sicuramente anche loro hanno consultato gli archivi.“Sarebbe auspicabile – scrive Invernizzi – che il Capo dello Stato, e i giornalisti e professori suoi estimatori, si ricordassero anche di loro, in una logica di equità”. Invernizzi prova a fare un elenco delle opere pubblicate e ripubblicate in questo anno, in testa mette quello del cardinale Giacomo Biffi, L’unità d’Italia. Centocinquant’anni 1861 – 2011, edito da Cantagalli. Seguono altri titoli ben rappresentativi di quell’indirizzo critico e revisionista dell’ideologia risorgimentale. Questi saggi hanno fatto emergere, del resto ribadito anche da Benedetto XVI e dal cardinale Bagnasco, che esisteva “(…)un’Italia prima dell’Italia, cioè di una identità italiana magari percepita all’ombra del campanile, ma diffusa in tutta la Penisola, che precede di molti secoli la nascita dello Stato nazionale nel 1861”. (Marco Invernizzi, 150 anni ma quanta retorica, 31.12.11, labussolaquotidiana.it). Tra l’altro escludendo questi studi storici, che hanno contribuito“a far venire allo scoperto l’anima anti-cristiana e quindi anti-italiana delle correnti ideologiche che presero la guida del processo risorgimentale”, si rischia di non compiere quel doveroso tentativo di non ritardare ulteriormente il richiamo all’urgenza di una “pacificazione della memoria” che sappia non solo denunciare che il processo di unificazione è avvenuto in modo poco rispettoso del popolo e della grande tradizione cattolica, ma anche riconoscere il contributo culturale fondamentale del magistero sociale della Chiesa e l’operato decisivo dei cattolici a livello sociale”. (Giuseppe Bonvegna, Perché “l’identità italiana” è ancora aperta?, 31.12.11, Il Sussidiario.net).
Riprendendo il testo che sto presentando del cardinale Biffi, il VI capitolo affronta il tema dei rapporti tra il movimento risorgimentale e la realtà cattolica. I risorgimentisti hanno sottovalutato il radicamento nell’animo italiano della fede cattolica e la sua quasi consostanzialità con l’identità nazionale. Con le Leggi Siccardi si sopprimono gli ordini religiosi e si colpiscono tutti i beni della Chiesa, un provvedimento che colpisce pesantemente la realtà e la vita del cattolicesimo.
Il cardinale intravede nell’azione sabauda una istanza totalitaria, proprio perché si è voluto fondere “due realtà così lontane e disparate come l’area lombardo-piemontese e l’area meridionale. E’ stato un dramma politico e sociale. Ma soprattutto è stato un dramma spirituale e morale che a motivare e a condurre il processo unitario fosse un’ideologia deliberatamente antiecclesiale”. In questa maniera i risorgimentisti si posero in conflitto con i sentimenti più profondi del nostro popolo, con le sue tradizioni più radicate, con la più evidente ragione della sua specificità. Sulla questione del “potere temporale” della Chiesa, il cardinale è convinto che “è un luogo comune che la causa principale della inimicizia con la Chiesa sia stato il potere temporale dei papi. Per Biffi, è un alibi ideologico all’azione antiecclesiale dei governi del Regno. Tra l’altro le leggi eversive del Regno sardo iniziano tra le due guerre di indipendenza. Un altro luogo comune da sfatare è che i guai d’Italia e le sue arretratezze derivano dalla Controriforma. Infatti, secondo Francesco De Sanctis, è questa la causa del decadimento spirituale e morale degli ultimi secoli. Naturalmente per il cardinale Biffi, “la realtà è diversa. Caso mai si può dire che sfortuna d’Italia è stata che la Controriforma non è riuscita a raggiungere e trasformare l’intera penisola”. E qui Biffi racconta una verità storica che forse non può piacere a certo Sud: “dove ha agito in profondità – per esempio, con la Riforma borromaica (e cioè al Nord, fino all’Emilia) – la gente è stata davvero educata a superare le antiche propensioni alla furbizia, alla violenza privata, alla passività, al clientelismo, e si è trovata pronta a entrare nella moderna società europea”. Successivamente il cardinale sente la necessità per l’attualità italiana di fare chiarezza tra il concetto di “Nazione” e il concetto di “Stato”. Per il primo è importante, l’origine, la storia, la lingua, la civiltà. Per il secondo, è l’organizzazione politica. Nessuno può dubitare che esiste una “Nazione Italiana”: questo è evidente soprattutto nell’esplosione artistica, economica e mercantile, dei secoli XIII e XV, dalla Toscana si passa a tutta la penisola. E’ ben presente l’eccezionale valore di un Dante, Petrarca, Boccaccio che diventano modelli universali di espressione linguistica e letteraria. E poi la “Divina Commedia, una straordinaria “cattedrale”, materiata di bellezza, di verità, di passione umana, di impegno politico – è accolta in ogni angolo della nostra terra come un vero e proprio ‘poema nazionale’”. I contributi alla Nazione italiana non arrivano dalla sola Toscana, ma da altre regioni e qui Biffi elenca diversi nomi illustri da Guido Guinizzelli ad Alessandro Manzoni. Discorso analogo può essere fatto per le arti figurative, la musica. A questo punto monsignor Biffi aggiunge qualche elemento nuovo a sostegno delle sue tesi e cita Dostoevskij e Solov’ev, grandi scrittori romanzieri russi. Il primo dopo aver ammesso che Cavour fu un grande diplomatico, annotava: “L’Italia porta con sé da duemila anni un’idea grandiosa, reale, organica: l’idea di una unione generale dei popoli del mondo, che fu di Roma e poi dei papi. E il popolo italiano si sente depositario di un’idea universale e chi non lo sa lo intuisce. La scienza e l’arte italiana sono piene di quella idea grande. Ebbene, conclude Dostoevskij che cosa ha fatto il conte di Cavour? Un piccolo regno di secondo ordine, che non ha importanza mondiale, senza ambizioni, imborghesito”. Mentre per Solov’ev, l’Italia è il primo fra tutti i popoli europei a raggiungere un’autocoscienza nazionale. E ci invita a non confondere “l’unità statuale, relativamente recente, e l’Italia di sempre, che si è a a poco a poco costruita ed espressa nell’intera sua storia”. Per il cardinale non si può misurare il valore dell’Italia unicamente su ciò che abbiamo saputo essere e fare a partire dal 1860 – o peggio ancora perché non c’è limite all’insipienza, a partire dal 1943 e dal 1946 – la nostra rilevanza nel consorzio delle nazioni sarebbe tra le più tenui e le meno significanti”. Pertanto Biffi non può non ricordare che “l’elemento più potente di aggregazione delle varie genti della penisola è stato il comune possesso della fede cristiana e del suo radicamento almeno implicito nelle menti, nei cuori, nelle coscienze”. Per il cardinale emerito di Bologna, il patrimonio di convinzioni che deriva dalla fede, anche se in forma confusa e sottintesa, ha segnato in modo decisivo la mentalità del nostro popolo. I risultati sono ben evidenti in tutti i campi, dal pensiero, alla poesia, all’arte. E così le istituzioni, le università, gli ospedali, le opere di solidarietà, sono tutte all’insegna della parola di Cristo. 

DOMENICO BONVEGNA
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