LA CRISI DEL VATICANO. SCAPPA SOLO CHI HA PAURA O PECCATI DA NASCONDERE

di ANDREA FILLORAMO

Oggi nella Chiesa Cattolica è d’uso prendere atto delle sconfitte, che si sono ripetute l’una dietro l’altra negli ultimi anni. Si moltiplicano, infatti, gli abbandoni, mancano le vocazioni, le parrocchie rimangono senza parroco, le comunità religiose che da secoli avevano le loro case e le loro chiese nelle città scompaiono del tutto. Vendute le case e lasciate le chiese alle diocesi – di queste non sanno più che farne – le affidano, quando va bene, alle comunità etniche presenti o ai più svariati gruppi, oppure le chiudono in attesa di adibirle ad usi profani, come sta avvenendo con un ritmo sempre più intenso nei paesi del Nord Europa,

Si dà, quindi, l’addio ai Gesuiti e ai Carmelitani che erano presenti da cinque secoli: ai Salesiani, nel cui istituto generazioni di studenti si erano formati, che è stato venduto al primo acquirente.

Naturalmente, come al solito, si dirà che tali fatti non rappresentano un sintomo della crisi della fede, ma si sa che non è proprio così: è proprio sotto i nostri occhi lo stato di desolazione della Chiesa Cattolica.

Una Chiesa che appare ormai «bloccata», «parcheggiata dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita» di tanti, una pseudo comunità affidata a dei preti che, secondo una recente inchiesta, risulta essere “abitudinari, scarsamente orientati alla ricerca di novità ed esperienze diverse dalle solite, piuttosto inclini ad affidarsi a figure di riferimento inadatte, devozionisti per necessità, tristi e annoiati, antropologicamente immaturi,  molti dei quali con problemi di ansia o disturbi dell’umore che talvolta possono manifestare anche sintomi fisici come affaticamento o stanchezza cronica”.

Si aggiunga ancora che essi sono inseriti fin dai primi anni del seminario in una vera e propria casta, distinta dal resto dei credenti, la cui esistenza è strettamente legata a quella della Chiesa stessa che costituisce il perfetto brodo di coltura per abusi e scandali sessuali, che dunque non sono affatto episodi isolati ma il frutto di un sistema.

Al centro della quale c’è, grande come un elefante che tutti sanno esserci ma che tutti fanno finta di non vedere, il sesso, a loro ideologicamente e formalmente negato.

Essi costituiscono, inoltre, una forma di struttura sociale gerarchicamente rigida e statica, su cui si fonda la loro specifica diversità e il clericalismo dentro il quale rimangono invischiati, che fa a pugni con la modernità e dal quale non riescono ad uscire.

Come scrive Husserl nel suo saggio “I’idea dell’Europa” la modernità nasce come esigenza di uscire  da un tempo, il Medioevo, in  cui la Chiesa si poneva come unità di cultura gerarchica, comunità sacerdotale sovranazionale organizzata in modo imperialistico, quale portatrice dell’autorità divina e organo deputato alla guida spirituale dell’umanità”. Adesso quest’idea è fortemente anacronistica.

Ora l’attuale papato formalizza la fine di una Chiesa non più all’altezza dei tempi, e dichiara esso stesso che la cristianità è finita ma non è finito il cristianesimo, il cui destino è strettamente legato ad una nuova figura di prete e di vescovo.

È questa sicuramente una rivoluzione piuttosto radicale che ha bisogno di molto tempo per essere prima compresa e poi attuata coinvolgendo totalmente i laici,

Per vincere la sfida, però – ha detto a braccio Papa Francesco – è decisivo il versante pastorale: i laici non hanno bisogno di preti e di ‘vescovi-piloti’; devono essere capaci di assumersi le loro ‘responsabilità’ in tutti gli ambiti. Non servono convegni che ‘narcotizzano’ le comunità, con documenti astrusi e incomprensibili, ci vogliono ‘collegialità e comunione’ tra diocesi ‘ricche materialmente e vocazionalmente’ e diocesi “in difficoltà”. Anche i monasteri e le congregazioni che invecchiano possono diventare ‘un esempio di mancanza di sensibilità ecclesiale’, se non si provvede ad ‘accorparli prima che sia tardi’. È un problema mondiale”.