Il cardinale Biffi ha incarnato fino in fondo la grande tradizione del prete ambrosiano

di ANDREA FILLORAMO

Il Cardinale Giacomo Biffi è stato arcivescovo di Bologna, uomo di punta della Chiesa cattolica postconciliare, che ho avuto la fortuna di incontrare, quando era vescovo ausiliare di Milano.

Sono stato profondamente colpito allora per la sua intelligenza e in modo particolare per la sua perspicace prontezza nell’intuire e valutare le situazioni e nel trarre delle conclusioni.

Scrivere adesso di lui, però, non è per me un voler fare l’apologia di un vescovo  che ha lasciato sicuramente una scia profonda in quanti l’hanno conosciuto e praticato.  Essi sicuramente potrebbero dire e già hanno detto tanto.

Cerco soltanto di interpretare le parole del Cardinale Angelo Scola, che, nel 2015, ha fatto giungere all’arcivescovo di Bologna, porgendo le condoglianze per la sua morte.

Egli, infatti, così ha detto: “il cardinale Biffi ha incarnato fino in fondo la grande tradizione del prete ambrosiano, capace di approfondire le ragioni della fede e della loro limpida comunicazione all’uomo contemporaneo”.

Da più di quaranta anni abito ed ho operato nel territorio della grande arcidiocesi di Milano e in questi anni ho conosciuto e praticato molti preti ambrosiani, che hanno sicuramente un “quid” in più di tutti gli altri preti, un valore aggiunto che li rende particolari e interessanti sia da un punto di vista pastorale, sia anche da un punto di vista sociologico e umano.

Essi da tempo, inoltre, a mio parere, hanno superato lo stereotipo che li ha sempre accompagnati, caratterizzato dal funzionalismo, dalla pianificazione più manageriale che pastorale e si impegnano a passare da una logica delle cose da fare, a quella di un modo di essere. Si tratta, in definitiva, del fatto che stanno scoprendo o già hanno scoperto, uno stile diverso di fare pastorale perché sia conservata (o restituita, in qualche caso) alle azioni ecclesiali la loro intrinseca forza educativa della fede. Non si tratta, per loro, di andare verso altre cose e di fare cose nuove, ma dirle e compierle “noviter”.

Da evidenziare – diciamolo chiaramente –  che Biffi apparteneva, da milanese, alla scuola (chiamiamola così ), non solo teologica ma esistenziale del tipico cristianesimo ambrosiano, quel cristianesimo pratico, quasi empirico, inesistente altrove,  in cui si riversava il suo carattere aperto, talvolta anche impulsivo, con cui dimostrava una compiaciuta cordialità nei rapporti umani che prevedevano anche i conflitti utili per una vita gratificante, che riteneva fosse alla portata di ciascuno, nonostante i contrasti delle idee, ma soltanto a patto di lottare, di intraprendere sempre e in ogni occasione la strada faticosa e rischiosa della ricerca dell’ identità cristiana. Per Biffi, mai in questa lotta bisogna sentirsi perduti.

Egli scrisse, pertanto di sè: “ci sono momenti rari e brevi, anche se profondamente angoscianti. Istanti in cui tutto sembra perduto: perché senza la luce del Risorto non posso neppure intravvedere il Padre e senza la Chiesa oggi viva e operante, anche il Signore Gesù è una ipotesi lontana e scarsamente probabile. E proprio in quegli istanti tutto si riconquista, perché la fede cresce più forte”.

È questa indubbiamente una grande lezione per chi crolla sotto il peso dell’angoscia.

Prima di soltanto citare qualche suo scritto, che in questi giorni ho ripreso a leggere, mi preme   raccontare un episodio molto divertente, in cui si rispecchia pienamente la personalità del Biffi, che sarebbe avvenuto durante il conclave del 2005, stando a quanto avrebbe raccontato – come leggo nella Rete –   il giornalista vaticanista Francesco Grana: “È il 19 aprile 2005, secondo e ultimo giorno di votazioni. Dopo il terzo scrutinio del conclave, il secondo di quella mattina, i cardinali elettori tornano in pullman nella Casa Santa Marta dove risiedono in quei giorni. Li attende il pranzo e un breve riposo nelle loro stanze prima di far ritorno nella Cappella Sistina per la votazione che sarà definitiva e alla quale seguirà l’annuncio al mondo dell’avvenuta elezione del nuovo Papa. Ed è proprio durante quel pasto frugale che Biffi, molto innervosito, si sfoga con un confratello: «A ogni votazione ricevo sempre un solo voto. Se scopro chi è che si ostina a votarmi giuro che lo prendo a schiaffi». «Cosa Eminenza?», gli domanda perplesso il confratello. «Sì, ha capito bene, Eminenza», replica Biffi. «Giuro che lo prendo a schiaffi». Al che il porporato lo guarda perplesso e gli spiega: «Eminenza, ormai è chiaro chi stiamo eleggendo come nuovo Papa ed è anche abbastanza evidente che questo candidato abbia scelto di votare per lei. Quindi se vorrà ancora mantenere il suo proposito sarà costretto a prendere a schiaffi il Papa». Biffi rimase senza parole: Ratzinger aveva deciso di votare per lui”.

Fra i tanti libri che Biffi ha scritto, uno in modo particolare, mi ha colpito: «Contro Maestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di Pinocchio» ed. Jaca Book, che invito a leggere.

La recensione è fatta dallo stesso Biffi che scrive: “l’opera di Collodi, è un magnifico catechismo adatto ai bambini come agli adulti. Pinocchio è la verità cattolica che erompe travestita da fiaba. E soprattutto facciamo bene a darlo in mano ai ragazzini, in una società come la nostra così distratta, affascinata dalla civiltà dell’immagine e catturata più dalle cose superficiali che da quelle sostanziali. In quelle pagine vi è in fondo, a mio giudizio, la sintesi dell’avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero. Ma c’è anche molto di più. C’è, a esempio, Lucignolo che rappresenta la perdizione: dove il destino dell’uomo non sempre è a lieto fine. C’è la figura di Maestro Ciliegia, vero maestro dell’anti fede: un personaggio che non vuole andare al di là di ciò che vede e tocca”.

Ogni commento può essere fatto soltanto dopo la lettura attenta di quanto Biffi ha scritto in questo interessantissimo libro che contiene sì una fiaba, ma che Biffi la considera la fiaba autentica della vita cristiana