RSA, rette e Alzheimer. Il sociale si organizza per far pagare gli utenti

Il 24 novembre 2025 è stata diffusa una proposta intitolata “Le rette in strutture residenziali per anziani – Cancellare le ingiustizie di oggi, costruire un sistema equo per domani”, presentata dal Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza e promossa da UNEBA Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) insieme a 61 organizzazioni della società civile, dei pensionati, delle professioni sociali e sanitarie, e dei gestori di servizi socio-assistenziali (tra cui AIOP, ANASTE, ARIS, Legacoop Sociali, ecc.) .

La coalizione sostiene di parlare a nome degli anziani non autosufficienti, dei caregiver e dell’intero settore dell’assistenza. Ma il documento, dietro la veste di un’azione “equa” per la collettività, propone un intervento legislativo che avrebbe un effetto molto preciso:

– riportare le famiglie a pagare la retta al 50%, cancellando di fatto gli effetti delle sentenze della Corte di Cassazione che, negli ultimi anni, hanno riconosciuto il carattere sanitario dell’assistenza per Alzheimer grave.

È un’iniziativa presentata come tecnica, ma le sue conseguenze sono profondamente politiche e incidono sulla vita quotidiana di migliaia di persone.

 

Il “Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza”* riunisce una vasta platea: associazioni di pensionati, organizzazioni sociali, società scientifiche e, soprattutto, gestori di strutture residenziali.

Il documento nasce in questo contesto e viene presentato come posizione unitaria del settore.

Cosa chiede il Patto?

Un emendamento di interpretazione autentica al DPCM LEA 12 gennaio 2017, art. 30, per stabilire che:

– le prestazioni rivolte agli anziani con diagnosi di demenza rientrano nei trattamenti di  lungoassistenza;

– la retta va suddivisa SEMPRE in 50% SSN – 50% utente, come “regola uniforme”.

La motivazione dichiarata è “ristabilire chiarezza” e “superare l’incertezza normativa”.

La motivazione reale è altrettanto evidente: fermare il contenzioso che, oggi, consente alle famiglie di ottenere la copertura totale da parte del Servizio sanitario nazionale.

Negli ultimi 13 anni, come noto, la Corte di Cassazione ha adottato un orientamento consolidato:

quando l’anziano è affetto da Alzheimer grave, l’assistenza in struttura non è separabile tra sanitario e sociale ? tutta la retta è a carico del SSN.

La Cassazione parte da un principio semplice e coerente con la realtà clinica, costituzionalmente orientato e conforme alla normativa internazionale alla quale siamo vincolati:

 

– l’assistenza per Alzheimer grave richiede vigilanza permanente, interventi continuativi, condizioni sanitarie instabili e non è possibile distinguere ciò che è “cura medica” da ciò che è “assistenza”, trattandosi di prestazioni unitarie e inscindibilmente finalizzate alla tutela della salute. Come tali di esclusiva pertinenza del SSN.

 

Le famiglie che hanno ricorso alla giustizia hanno ottenuto rimborsi, spesso ingenti, perché il costo — fino a 4.000 euro al mese — non può essere considerato un servizio “per metà sanitario e per metà sociale”.

 

Il Patto, invece, afferma che questo orientamento:

– crea “disparità” con altre patologie non autosufficienti;

–  è economicamente insostenibile;

– rischia di spingere le strutture a ridurre l’accoglienza di persone con Alzheimer;

– favorirebbe anche i redditi alti.

 

A partire da questa lettura, il documento chiede un intervento legislativo urgente per “tamponare la crisi”.

 

Secondo il Patto, il problema risiederebbe nella “ambiguità normativa” che lascia spazio alla Cassazione di garantire evidentemente “troppo” ai portatori di tali croniche gravi patologie.

 

La soluzione proposta è una norma interpretativa, che avrebbe tre effetti:

Azzerare la rilevanza delle sentenze della Cassazione.

Impedire alle famiglie di richiedere la copertura totale delle rette.

Ripristinare ovunque il regime di compartecipazione 50% SSN / 50% utente per gli anziani con demenza.

 

La modifica non inciderebbe formalmente sul passato, ma avrebbe un effetto immediato sul presente e sul futuro: le famiglie non potrebbero più richiedere il rimborso integrale.

 

Il documento sostiene che questo non introdurrebbe nuovi oneri per la finanza pubblica, perché — di fatto — eviterebbe l’esborso oggi richiesto dalle sentenze.

 

Il Patto non si ferma alla norma interpretativa.

Propone anche un emendamento alla Legge delega 33/2023, per costringere il Governo ad adottare entro il 2026 un decreto legislativo che riscriva completamente il sistema nazionale delle compartecipazioni:

per servizi residenziali, semiresidenziali, domiciliari.

L’obiettivo dichiarato è “equità, sostenibilità e omogeneità territoriale”.

 

Nella pratica, si tratta della costruzione di un nuovo modello di compartecipazione universale applicabile a tutte le forme di non autosufficienza.

Il documento parla spesso di “equità”.

Ma la proposta concreta è una: tornare a far pagare a tutti, ricchi e poveri, la metà della retta.

È giusto? È trasparente? Aiuta davvero chi ha bisogno?

Qualche considerazione:

Se il problema sono i redditi alti, l’ultimo strumento da usare è una quota fissa del 50%. Esistono strumenti progressivi, basati su reddito e patrimonio.

Se il problema è la sostenibilità, la risposta non può essere cancellare una tutela costruita dalla giurisprudenza per proteggere le persone più fragili.

Se il problema è la domiciliarità, non la si favorisce rendendo più costoso l’accesso alla residenzialità quando necessaria, ma investendo seriamente nei servizi territoriali.

Dietro l’apparente equilibrio della proposta, l’unico effetto certo è alleggerire i bilanci delle strutture e dei sistemi sanitari regionali e riportare sulle famiglie un costo spesso insostenibile.

L’Alzheimer grave è, a tutti gli effetti, una condizione che annulla autonomia e autodeterminazione.

Ridurre questo bisogno a un problema di “quote” significa non coglierne la natura sanitaria.

Un sistema sostenibile non si costruisce colpendo le famiglie quando sono più fragili, né evitando il confronto parlamentare attraverso norme interpretative.

Serve invece:

– programmazione trasparente;

– investimenti veri su domiciliarità e comunità;

– criteri equi basati sul reddito;

– monitoraggio pubblico della qualità dei servizi;

– confronto politico aperto, non manovre tecniche per fermare la giurisprudenza.

L’invecchiamento e la cronicità sono sfide che riguardano tutti.

Affrontarle significa decidere come finanziare e strutturare un sistema che garantisca diritti, non contrattare ribassi di tutele a danno di chi non può difendersi.

Presentare come “equità” una proposta che riporta alle famiglie un costo altissimo significa spostare il dibattito dal piano dei diritti a quello del bilancio.

Ma la cura dell’Alzheimer grave non è un optional: è un bisogno sanitario complesso, continuo, non comprimibile.

Il tentativo di intervenire con una norma interpretativa per fermare le sentenze della Cassazione non risolve i problemi del sistema: li sposta, e li sposta sulle famiglie.

Il vero tema non è “chi paga la retta”, ma come garantire un sistema di cura che non lasci indietro nessuno, indipendentemente dal portafoglio, dalla famiglia, o dal CAP di residenza.

 

Il documento Uneba-Patto: https://www.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2025/dicembre/Posizione%20uneba%20con%20patto%20per%20rette%20alzheimer.pdf

 

Claudia Moretti, legale, consulente Aduc