AF e suo figlio BF, che era minorenne all’epoca dei fatti, sono richiedenti protezione internazionale che risiedono in un centro di accoglienza a Milano. Nel 2023 la Prefettura di Milano ha disposto la revoca delle condizioni materiali di accoglienza 2 a causa del rifiuto reiterato di AF di essere trasferito, insieme a suo figlio, in un altro centro di accoglienza, anch’esso situato a Milano.
Il trasferimento era stato deciso in quanto essi occupavano un alloggio destinato a quattro persone, mentre il rifiuto era dovuto al fatto che il figlio frequentava la scuola in prossimità del centro di accoglienza in cui si trovavano. AF impugna il provvedimento che gli ha revocato le condizioni materiali di accoglienza dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, per il motivo che, a seguito di tale provvedimento, egli non è più in grado di far fronte ai suoi bisogni vitali e a quelli di suo figlio. Tale giudice chiede alla Corte di giustizia se la normativa nazionale che consente la revoca di tutte le condizioni materiali di accoglienza a seguito di un rifiuto come quello di cui trattasi sia compatibile con la direttiva relativa all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale 3.
La Corte constata che, nella fattispecie, AF non ha né abbandonato il centro di accoglienza né ritirato la sua domanda di protezione internazionale o rinunciato implicitamente a essa, sicché le condizioni materiali di accoglienza non possono essere revocate o ridotte nei suoi confronti per tali motivi.
Tuttavia, la direttiva consente agli Stati membri di applicare una sanzione in caso di grave violazione delle regole dei centri di accoglienza. Ebbene, un rifiuto come quello di cui trattasi nel caso di specie, qualora persista e il richiedente si opponga, senza motivo legittimo, al suo trasferimento in un alloggio adeguato alla sua situazione, è tale da compromettere il sistema di accoglienza dello Stato membro interessato, poiché l’alloggio in questione non può essere assegnato ad altri richiedenti rispetto alla cui situazione familiare sarebbe più adatto.
Di conseguenza, tale comportamento può costituire una grave violazione delle norme applicabili nel centro di accoglienza che ha inizialmente ospitato il richiedente e, pertanto, determinare l’applicazione di una sanzione. Ciò posto, le autorità nazionali devono applicare una sanzione proporzionata e rispettosa della dignità del richiedente, la quale non può consistere nel revocare tutte le condizioni materiali di accoglienza né nel privarlo altrimenti della possibilità di far fronte alle sue esigenze più elementari, come l’alloggio, il vitto o il vestiario. Ciò vale in particolare quando, come avviene nel caso di specie, i richiedenti di cui trattasi, vale a dire un genitore singolo e suo figlio minorenne, sono persone vulnerabili.
In tali circostanze, la Corte dichiara che la direttiva osta a una normativa nazionale che consente di revocare, in una situazione come quella di cui trattasi, tutte le condizioni materiali di accoglienza. Tuttavia, la direttiva non osta a che, nel rispetto del principio di proporzionalità nonché dei diritti fondamentali e della dignità del richiedente, le autorità nazionali utilizzino i poteri coercitivi loro conferiti dal diritto nazionale per procedere all’esecuzione del trasferimento di tale persona in un altro centro di accoglienza.
