Processo Alessia Pifferi. L’avvocato Alessia Pontenani a Cusano Italia TV: Diana era una bimba invisibile: non aveva né pediatra, né tessera sanitaria

La perizia Pirfo condizionata dalle indagini su di me e sulle psicologhe. La Pifferi ha avuto una vita difficile, da bambina fu abbandonata dalla famiglia e abusata sessualmente. La mia assistita soffre da sempre di turbe psichiche e deficit cognitivi: emerge dai nuovi documenti che ho trovato e che sono stati acquisiti dalla Corte. 

Il processo ad Alessia Pifferi. Per la donna che nel luglio del 2022 fece morire di stenti la figlia Diana di soli 18 mesi lasciandola sola per una settimana, il pubblico ministero Francesco De Tommasi ha chiesto la condanna all’ergastolo. In attesa della prossima udienza prevista per il 13 maggio, se ne è parlato a “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia TV.

L’avvocato Alessia Pontenani, intervistata da Fabio Camillacci e Gabriele Raho ha detto: “La superperizia fatta dal dottor Elvezio Pirfo, ha ritenuto la mia assistita pienamente capace di intendere e di volere. In realtà la Pifferi soffre di turbe psichiche e deficit cognitivi che non le consentono di essere pienamente cosciente della realtà dei fatti. E questo emerge chiaramente dai documenti sul suo passato medico che ho raccolto per le indagini difensive. Documenti acquisiti dalla Corte durante l’ultima udienza; anche se la stessa Corte ha rigettato la richiesta di un’integrazione della perizia”.

L’avvocato Alessia Pontenani ha poi spiegato: “La perizia del dottor Pirfo, è stata falsata non solo dall’indagine in corso su di me e due psicologhe del carcere di San Vittore che visitarono Alessia, ma anche dal fatto che, come tutti gli altri consulenti di parte, Pirfo non ha potuto valutare la documentazione che ho prodotto, da cui risulta, praticamente, che la mia assistita è una bambina. Tale documentazione è stata acquisita e la Corte, a prescindere dalla perizia, potrebbe anche decidere di valutarla. Vedremo cosa succederà a maggio, non voglio essere né troppo ottimista, né troppo pessimista: secondo me Alessia non voleva uccidere la bambina. L’ha lasciata morire e su questo siamo tutti d’accordo, ma è diverso. Bisogna fare una distinzione tra l’azione e l’omissione: Alessia non può rendersi conto della differenza. Dice di non aver ucciso Diana perché non le ha fatto del male. Era convinta che il famoso biberon con il latte che aveva lasciato uscendo di casa fosse sufficiente a farla sopravvivere. Non ci fu premeditazione, Alessia agì da incosciente a causa dei problemi psichici di cui soffre fin da piccola. Si trattò chiaramente di abbandono di minore con morte. Il pm nella sua requisitoria ha parlato solo ed esclusivamente di quella settimana in cui la piccola Diana morì; secondo me invece una persona andrebbe valutata in toto e non solo per il reato che ha commesso. Bisognerebbe ricostruire la sua storia. Ad esempio, Alessia da ragazzina è stata abbandonata a sé stessa nonostante avesse turbe psichiche e deficit cognitivi; è stata cresciuta dai nonni e poi dalla sorella perché la madre e il padre erano sempre a lavoro, abusata sessualmente da una persona che ora non c’è più e si è poi sposata con un uomo molto più grande di lei. Non sapeva nemmeno di essere rimasta incinta. Andava aiutata, non andava lasciata da sola con la bambina. Questo è il risultato. Se davvero la mia assistita avesse voluto uccidere la figlia avrebbe potuto farlo in tanti altri modi per poi abbandonare il suo corpicino senza che nessuno se ne accorgesse, visto che Diana, a tutti gli effetti, era una bambina invisibile, senza pediatra e senza tessera sanitaria, con una famiglia d’origine che si disinteressava completamente sia a lei che alla madre”.