
Pesaro – Una sentenza storica, un precedente internazionale. La Corte Suprema di Giustizia dell’Argentina ha stabilito che le compagnie petrolifere devono abbandonare il Parco Nazionale di Calilegua e risanare l’area danneggiata da anni di attività estrattiva. Una vittoria che corona undici anni di lotta da parte di cittadini, ambientalisti e giuristi, uniti per difendere un ecosistema fragile e prezioso.
Nel cuore del parco, infatti, operavano da tempo impianti petroliferi che compromettevano la biodiversità, l’equilibrio ambientale e il diritto delle comunità a vivere in un territorio sano. Oggi, quella lunga battaglia trova finalmente giustizia, grazie a una sentenza che non solo impone la cessazione delle attività industriali, ma anche un vero piano di bonifica ambientale, con scadenze chiare e responsabilità condivise tra Stato, provincia e aziende.
Mentre in Argentina la giurisprudenza tutela un parco nazionale, a Pesaro, nella Valle del Foglia, si continua a discutere sul destino di un’area che condivide molte delle fragilità del Calilegua. Qui, dove Fox Petroli ha localizzato il proprio progetto di impianto di liquefazione del metano (GNL), il territorio si configura come una valle alluvionale con un sistema naturale complesso, attraversato da un corso d’acqua già messo alla prova dallo scarico di sostanze chimiche, popolato da una comunità di persone con attività economiche, scuole e strutture sanitarie.
Ma a differenza del caso argentino, a Pesaro l’industria fossile preme ancora, cercando di ottenere, nonostante il diniego del Nof da parte dei Vigili del Fuoco, la realizzazione del proprio impianto in un contesto delicato e già gravato da pesanti rilievi – oltre che da parte del Comitato Tecnico Regionale, da quella di esperti e della società civile – sul piano della sicurezza e della legalità. Il sito proposto si trova, infatti, all’interno di una zona industriale preesistente ma vetusta, dove le analisi del suolo, effettuate più di vent’anni fa, già non lasciavano trnquilli; un’area soggetta a vincoli sanitari, ambientali e urbanistici che sono stati spesso ignorati, se si eccettua l’intervento dovuto, ma anche coraggioso dei Vigili del Fuoco, contro il cui giudizio l’azienda è ricorsa al Tar.
Non va dimenticato che si tratta di un impianto petrolifero, con tutto ciò che comporta in termini di impatto ambientale, di rischio per la popolazione e per la falda acquifera, e di incompatibilità con la transizione ecologica oggi richiesta a livello europeo e internazionale.
In Argentina si è dimostrato che, con costanza e con il supporto di una cittadinanza informata, le battaglie per il bene comune si possono vincere. Anche a Pesaro è in corso un importante contenzioso: numerosi cittadini e il Comitato “Pesaro: No GNL” hanno promosso azioni legali, campagne pubbliche, osservazioni giuridiche e un ricorso amministrativo, contribuendo in modo determinante al blocco del progetto. In risposta, la società ha intentato una causa da 2 milioni di euro contro due attivisti, Roberto Malini e Lisetta Sperindei, co-fondatori del Comitato PESARO: NO GNL; causa che ora è all’attenzione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, dello Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani, della Commissione europea e di organizzazioni come FrontLine Defenders e l’Hub NET4DEFENDERS. Pia Perricci, avvocato di vocazione ambientalista, in prima linea in ogni istanza legata al territorio e alla salute pubblica, difenderà in tribunale gli attivisti del Comitato.
Parallelamente, sono in corso indagini che la cittadinanza auspica facciano piena luce sul progetto, sul sito e sul percorso autorizzativo seguito fino ad ora, nell’interesse della città, della comunità e del territorio. Con poca attenzione da parte della stampa locale, che è restia a dedicare spazio alla vicenda, così come una parte consistente delle istituzioni e della politica locale, suscitando tanti interrogativi in seno alla comunità pesarese.
La vicenda del Parco Calilegua e quella della Valle del Foglia ci raccontano due facce della stessa questione: il conflitto tra l’industria fossile e la tutela dell’ambiente e della salute collettiva.
Se l’Argentina oggi offre un modello virtuoso di giustizia ambientale, l’Italia ha l’occasione – proprio a partire da casi come quello di Pesaro – di dimostrare che il diritto può (e deve) essere un alleato della sostenibilità, della trasparenza e della democrazia.
Perché l’ambiente non è un ostacolo da aggirare, ma un bene da proteggere, insieme a quello altrettanto prezioso della alute pubblica. E la voce dei cittadini non è una minaccia, ma una risorsa per costruire un futuro migliore.