
Si rimane svegli di notte per sopravvivere di giorno! Non è una battuta né un modo di dire. Non vuole essere sarcasmo ma ferma denuncia alla luce di dati reali e di una realtà drammatica che è sotto gli occhi di tutti. È la condizione concreta in cui si trovano oggi migliaia di infermieri italiani, costretti da un sistema sotto organico ad effettuare spesso 2 o anche 3 turni notturni consecutivi (e credeteci accade), con riposi minimi appena garantiti sulla carta, e spesso richiamati in servizio tramite pronta disponibilità.
Il risultato è visibile: invecchiamento precoce, malattie professionali, abbandono della professione. E il tutto accade nel silenzio istituzionale, mentre la carenza strutturale supera le 175.000 unità rispetto agli standard europei.
Il lavoro notturno, accompagnato da mancanza di riposo, quindi eccesso di turni consecutivi, logora il corpo e la mente. Gli infermieri turnisti sono tra le professioni in assoluto più a rischio per la propria salute.
Studi scientifici dimostrano che il lavoro notturno continuativo accelera l’invecchiamento nei professionisti sanitari. Secondo Occupational and Environmental Medicine, chi lavora da oltre 10 anni su turni notturni presenta funzioni mentali e fisiche paragonabili a quelle di persone con sei anni in più. Harvard e il Nurses’ Health Study hanno rilevato un accorciamento dei telomeri del 15-20%, corrispondente a un’età biologica anticipata di 7-9 anni. Il Karolinska Institutet segnala una riduzione di 6-7 anni nell’aspettativa di vita libera da malattia per gli infermieri con lunga esposizione notturna. A livello globale, l’OMS ha classificato il lavoro notturno come “probabilmente cancerogeno”, mentre The Lancet lo definisce un fattore chiave di deterioramento precoce della salute tra i professionisti sanitari, su tutti gli infermieri.
Due notti di fila non violano la legge, ma distruggono chi lavora
Non esiste un limite normativo ai turni notturni consecutivi, sia chiaro. Ma il diritto al riposo minimo di 11 ore consecutive tra un turno e l’altro è chiaramente stabilito dalla Direttiva europea 2003/88/CE, recepita anche nel CCNL Sanità.
Eppure, in tantissimi ospedali italiani, questo riposo è formalmente garantito ma clinicamente inutile.
Due, tre notti di seguito possono rientrare nella norma giuridica, ma hanno conseguenze pesanti sulla condizione psico-fisica dell’infermiere. Ansia, disorientamento, sonno frammentato, disturbi cognitivi e rischio clinico aumentato. E’ risaputo che rimanere svegli di notte, porterà la conseguenza di riposare poco o male la mattina successiva, tra luce del sole e maggiori rumori diurni. Immaginate, poi, in queste condizioni di “non sonno”, si viene richiamati per un secondo o addirittura un terzo turno notturno di fila. Non a caso, numerosi infermieri segnalano errori involontari, stanchezza cronica e la sensazione di “non essere più lucidi” durante il lavoro, tutto a discapito della propria salute che gradualmente deteriora, ma non dimentichiamo anche della qualità delle cure.
Pronte disponibilità: quando la flessibilità diventa abuso contrattuale
Il Contratto Collettivo Nazionale prevede un massimo di 7 turni mensili di pronta disponibilità per ogni infermiere. Nata come misura eccezionale, oggi la pronta disponibilità è strumento ordinario di gestione delle carenze, utilizzato per compensare la mancanza cronica di personale.
Nel 2023 questo limite , nei fatti è stato più che raddoppiato. In numerose Asl sono stati documentati fino a 15 turni mensili per singoli operatori. In tante realtà sanitarie siamo di fronte a casi di pronte disponibilità alternate a giorni lavorativi senza soluzione di continuità.
A peggiorare la situazione è il compenso ridicolo per ogni turno di reperibilità: appena 20 euro lordi, una cifra non rivalutata da decenni. Un tempo era una misura costosa, oggi è un’alternativa economica che conviene solo alle aziende ma distrugge i lavoratori.
Turni notturni, pronta disponibilità e riposi negati: i casi concreti
Sono numerose le realtà ospedaliere in cui, sindacati come il nostro, con i propri referenti regionali, hanno raccolto prove di infermieri impiegati anche in tre notti consecutive, seguite da reperibilità attiva o rientro in reparto entro 8 ore, spesso per coprire malattie o ferie.
“Sulla carta, le 11 ore di riposo ci sono. Ma in realtà stai a casa 6-7 ore, dormi 3 se ti va bene, e poi torni dentro. E se suona il telefono, rientri comunque. È legale? Talvolta, forse. È umano? No.
Oltre la soglia OMS nei pronto soccorso: carico insostenibile e rischio clinico
L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica come soglia massima per l’assistenza in sicurezza 6 pazienti per ogni infermiere.
Nei principali pronto soccorso italiani si raggiungono 10, 12 e in alcuni casi 13 pazienti per operatore. Numeri che raddoppiano lo standard OMS, specie nei mesi estivi. Un inferno per gli infermieri e per i pazienti.
Una professione che invecchia e fugge
Il 2024 ha registrato oltre 20mila dimissioni volontarie di professionisti dell’area non medica.
Molti scelgono l’estero. Altri, il privato. Altri ancora, un mestiere totalmente diverso. Tutti con lo stesso messaggio: “Così non si può più lavorare.”
Antonio De Palma, presidente di Nursing Up, commenta questi dati del sindacato senza mezzi termini:
“Il sistema sanitario pubblico sta consumando i suoi infermieri, giorno dopo giorno, notte dopo notte li spreme come limoni. Il risultato è un esercito di professionisti stanchi, invecchiati, arrabbiati e soli. Non chiediamo miracoli.
Chiediamo assunzioni, rispetto del contratto e un’organizzazione del lavoro che metta al centro la persona, oltre che retribuzioni dignitose che consentano di stare al passo con l’aumentato costo della vita, senza dimenticare quanto questi ritmi di lavoro fuori dalla norma mettano a rischio vita personale e rapporti familiari”.