I temi caldi del programma del nuovo Governo occupano giornali e reti televisive, ma poco si parla di Sanità pubblica, destino del SSN, esigibilità del diritto alla salute dei cittadini.
Eppure – sostiene il Segretario Nazionale Anaao Assomed, Carlo Palermo – la Sanità non può non occupare uno dei primi posti nell’agenda di un nuovo Governo, viste le sfide epocali che stiamo vivendo(aumento dell’anzianità della popolazione, incremento delle malattie croniche e della non autosufficienza, bassa natalità, equità di accesso a nuovi e costosi farmaci e dispositivi medici, crescita delle diseguaglianze, con frattura netta tra Nord e Sud, tra aree interne e fasce costiere) ed il contesto recessivo in cui è stata precipitata nell’illusione di risparmiare tagliando dove è più facile, i diritti dei cittadini e quelli dei professionisti, non dove è più utile.
Se l’accesso dei Cittadini ai servizi sanitari, e quindi alla tutela della loro salute, è reso sempre più difficile ed ineguale, il diritto alla salute, l’unico riconosciuto fondamentale dall’art. 32 della Costituzione, viene declinato in 21 modi diversi, figli di autonomie regionali che hanno prodotto differenze profonde, prossime a divenire divaricazioni, nello stato di salute della popolazione. Nelle Regioni del mezzogiorno si registra ormai minore aspettativa di vita e maggiore mortalità evitabile rispetto a quelle del Centro-Nord del Paese.
Se il sistema sanitario ancora regge, dopo che ne sono usciti, non sostituiti, 10.000 tra Medici e Dirigenti sanitari, e se la tutela della salute è ancora esigibile senza carta di credito, è solo perché Medici e Dirigenti sanitari continuano a far fronte, tutti i giorni e tutte le notti, con risorse taglieggiate ad una domanda di salute crescente e complessa, pur esposti alla delegittimazione sociale ed a rischi, anche di aggressione fisica, sempre meno sostenibili. Inutile nasconderlo. Dopo 40 anni dalla sua istituzione, il Ssn versa in pessima salute, e la prognosi rimane riservata.
Già nei primi mesi, il nuovo Governo deve fare fronte alla necessità di aumentare il finanziamento della Sanità pubblica dei 10 miliardi promessi nei prossimi tre anni, se vogliamo rimediare agli effetti di un definanziamento che ha portato la spesa sanitaria pubblica al punto più basso tra i paesi del G7, sia in rapporto al PIL che per quota capitaria, malgrado la sanità rappresenti anche un formidabile volano per l’economia, visto che la filiera della salute vale 11 punti di PIL. In secondo luogo, occorre prospettare una soluzione, nazionale e strutturale, alla carenza di personale medico specialistico, divenuta il filo unificante di un sistema sanitario per troppi aspetti disunito, alimentata da errori di programmazione, livelli retributivi incompatibili con la gravosità e la rischiosità del loro lavoro, le cui condizioni sono al punto più basso del decennio. Fino alla fuga crescente verso il più allettante settore privato o i Paesi esteri. O verso la pensione, grazie anche all’accelerazione impressa dalla “Quota 100”. Mentre i giovani rimangono per anni in uno stato di sotto-occupazione o di precariato, professionale ed esistenziale, che alcune Regioni, come il Veneto, vorrebbero rendere eterno. Una condizione di disagio nel presente e di incertezza sul futuro, che li spinge piuttosto a cambiare Paese. Un regalo da 150.000 euro di investimento formativo ai Paesi vicini per ogni medico neo laureato che lascia il suolo natìo (solitamente per sempre).
Nel 2025 mancheranno circa 17.000 medici specialisti per le necessità del SSN, che vanno ad aggiungersi agli 8.000 posti persi dal 2009 ad oggi. Ma senza medici pubblici non c’è sanità pubblica, senza il capitale umano letteralmente non può esistere un sistema sanitario e gli ospedali diventano cattedrali nel deserto, i presidi sanitari territoriali arredi del paesaggio urbano, i Livelli Essenziali di Assistenza una chimera. Siamo ad una Caporetto annunciata, in attesa della dichiarazione finale di dissesto. Con medici e pazienti condannati a vivere lo stesso dramma su parti differenti della barricata, non di rado come avversari se non nemici, stante il ripetersi di aggressioni verbali e fisiche contro il personale sanitario.
Rompere la più grande infrastruttura sociale e civile del Paese risulterà facile, ma difficilissimo rimettere insieme i cocci per evitare che siano reddito e residenza a decidere dell’accesso alle cure.
Tocca al nuovo Governo – conclude Palermo – impedire che il “motore di giustizia sociale”, di cui ha parlato il Presidente Mattarella nel discorso di fine anno, si fermi senza che si intraveda se, e quando, possa ripartire, garantendo la sostenibilità di un Servizio Sanitario Nazionale strumento di coesione sociale, equità, eguaglianza.