In ricordo di Rocco Chinnici: massimo impegno sempre contro le mafie

Il magistrato Rocco Chinnici veniva ucciso 37 anni fa a Palermo, il 29 luglio 1983, insieme ai carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta e al portiere del palazzo di via Pipitone, Stefano Li Sacchi.

A 37 dalla strage mafiosa in cui perse la vita il giudice, allora capo dell’ufficio Istruzione del tribunale di Palermo, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese lo ricorda in un messaggio indirizzato al figlio Giovanni, presidente della “Fondazione Rocco Chinnici”, e a tutti i familiari delle altre vittime dell’attentato.

Perché «è nostro dovere non dimenticare», afferma il ministro, mettendo «ogni giorno, con rigore e determinazione, il massimo impegno per l’affermazione del diritto e della giustizia contro ogni forma di mafia e di illegalità» e raccogliendo così, in memoria di chi come Chinnici ha dato la vita «per difendere i valori della legalità e della convivenza civile», la sfida che viene dalle organizzazioni mafiose.

Mafie che «come ci ha insegnato Chinnici» dimostrano sempre «una straordinaria capacità di adattamento all’evoluzione dei contesti storici e sociali», come sta accadendo anche «nella complessa fase che il Paese sta attraversando, caratterizzata da una difficile crisi economica».

Le mafie cercano oggi «di investire nei settori resi più redditizi dall’emergenza e puntano a conquistare nuovi spazi di mercato» e insieme ad «acquisire ed accrescere il proprio consenso sociale» soprattutto nei territori più vulnerabili, con varie forme di presunto aiuto a persone e famiglie in difficoltà.

«Compito prioritario delle istituzioni è quello di impedire che ciò avvenga» afferma il ministro Lamorgese indicando una strategia «a largo raggio» che accanto al potenziamento delle capacità investigative e di analisi e all’aumento della prevenzione antimafia nei circuiti economici e produttivi favorisca anche l’accesso al credito per famiglie e imprese.

Solo così si rinnova la memoria di «un grande magistrato» che ha saputo innovare metodi di lavoro, «fondati sulla collaborazione tra i magistrati e sullo scambio informativo tra gli investigatori», e ha avuto «straordinarie intuizioni» tra le quali l’importanza del coinvolgimento dei giovani, che hanno consentito a chi è venuto dopo «una più ampia conoscenza dell’organizzazione mafiosa e delle sue ramificazioni».