Il cortocircuito scientifico-mediatico e il linguaggio

Virologi, medici, immunologi, intensivisti che guerreggiano mediaticamente come un politico qualunque a suon di insulti personali. E’ uno spettacolo che molti giudicano indecoroso, e con qualche ragione. Forse la più importante di queste ragioni è l’immagine distorta che può emergere della scienza e della comunità scientifica nel suo complesso.

Per prima cosa, credo sia necessario rassicurare chi è sconvolto dall’apparente svilimento della scienza a caciara politica.

Contrariamente alla politica, la scienza avanza – e talvolta arretra o fa un passo di lato – in modo sistematico, rigoroso, e certamente non in TV o nei sondaggi d’opinione. Quella scientifica è una comunità globale, sempre più connessa, estremamente pluralistica e fatta di centinaia di migliaia di scienziati, ricercatori, professori, studenti che collaborano e competono. Perché un’ipotesi divenga evidenza scientifica e produca consenso scientifico, è necessario che passi sotto la lente d’ingrandimento di una vastissima platea di scienziati, che hanno tutto l’interesse a trovare l’errore e a dimostrare il contrario. Non è un metodo infallibile, come tutte le cose umane, ma è tra le cose più straordinarie che l’uomo abbia costruito. Soprattutto, ad oggi non c’è di meglio, anche se tutto è migliorabile.

Chi ha fatto parte di quella comunità o ha avuto modo di conoscerla nei suoi studi, sa bene che le polemiche mediatiche da prima pagina hanno poco a che fare con la scienza, anche se talvolta – quando fatte in modo serio e approfondito – possono rendere il pubblico partecipe ad un dibattito accademico realmente esistente.

Noi spettatori, quindi, dobbiamo sapere che un’intervista ad uno scienziato non è di per sé scienza, a meno che lo scienziato non si limiti a esporre in modo corretto cose che sono già oggetto di consenso scientifico. Il resto è opinione, ipotesi, sensazione, work-in-progress, ego. Tutto autorevolissimo, ma non ancora sottoposto al rigoroso vaglio della comunità scientifica.

Al contempo, gli scienziati in TV dovrebbero chiarire all’ascoltatore ciò che è ormai dimostrato, ciò che invece si intende ancora dimostrare, o ciò che è ancora un’intuizione in fase embrionale. E dovrebbero farlo con un linguaggio comprensibile, certo, ma altrettanto preciso e rigoroso. Forse sopravvalutano gli ascoltatori, prendendo per scontato che abbiano le conoscenze per distinguere, o forse li sottovalutano utilizzando un linguaggio volutamente popolano (e quindi impreciso e inadeguato scientificamente) per apparire popolari. Forse entrambe le cose.

In parte è la natura fulminea e sconosciuta di questa epidemia, che richiede risposte fulminee, e quindi spesso non verificate con la rigorosità che è dovuta alla materia. Molti medici e scienziati sono passati improvvisamente dal reparto o dal laboratorio alla prima serata, e l’imperizia mediatica è in buona parte comprensibile.

Ma alcuni scienziati, nel meritevole intento di fare divulgazione scientifica, sono effettivamente stati inghiottiti dal vortice dell’informazione mediatica, informazione che spesso cavalca l’estrema superficie dell’onda dell’attualità, valorizzando ossessivamente – e talvolta inventandosi di sana pianta – polemiche da social.

Ecco che uno studio, magari anche serio e meritevole, viene divulgato grossolanamente con dichiarazioni e titoli giornalistici roboanti, cui seguono inevitabilmente repliche altrettanto roboanti. Lo studio ancora non lo ha letto nessuno. Si litiga sul nulla, a stretto giro di posta e sull’onda emotiva, su polemiche inventate, su concetti che vengono travisati.

Sconcerto dell’opinione pubblica.

Il linguaggio scientifico è preciso, meticoloso, perché deve descrivere in modo inequivoco questioni estremamente complesse, in tutte le sue possibili sfumature. Lo stesso vale per il diritto e la legge e qualsiasi altra disciplina, e forse dovrebbe valere anche per la politica, che le leggi le scrive. Una parola fuori posto o utilizzata in modo impreciso può screditare uno studio o può rendere incomprensibile una legge, con tutte le conseguenze del caso. Il linguaggio è gemello inseparabile del pensiero logico, e non utilizzarlo in modo corretto non è questione solo di stile, ma di sostanza. Lo avevano capito già i greci: logos significa pensiero razionale, logica, ma anche linguaggio, parola.

Chi utilizza il linguaggio in modo improprio, non fa altro che descrivere impropriamente la realtà, e quindi la travisa. Chi lo fa perché ha carenze linguistiche, avrà anche maggiori difficoltà a comprendere e correggere quegli errori, proprio perché non riuscirà facilmente a percepirli.

Contrariamente al linguaggio scientifico, il linguaggio mediatico dell’attualità tende invece a semplificare, generalizzare, appiattire. E’ difficile conciliarlo con la divulgazione di concetti complessi, anche se vi sono divulgatori scientifici straordinari che ci riescono egregiamente. Di conseguenza, sui media si creano equivoci, storture e violente polemiche sul nulla. In tanti ormai pensano che la complessità dei temi e del linguaggio sia uno strumento per umiliare, un inutile riflesso aristocratico ed elitario, piuttosto che un (il?) mezzo indispensabile per studiare la realtà e trasmettere le conoscenze.

Dopo aver travolto la politica, poi la giustizia e persino singoli procedimenti giudiziari, il vortice mediatico sembra quindi lambire anche la scienza. Un rischio ancor più concreto in un Paese come l’Italia, dove in troppi non hanno avuto l’opportunità di conoscere il mondo della ricerca a causa di un sistema educativo che poco lo valorizza, cui consegue il nostro basso tasso di istruzione e persino di alfabetizzazione funzionale. Questo spiega anche il pervasivo anti-intellettualismo e la percezione diffusa di poter sapere senza studiare (1).

Il mio modesto consiglio agli scienziati entrati per la prima volta nel circuito scientifico-mediatico è di essere rigorosi anche quando fanno divulgazione. Sia chiarendo ciò che è noto da ciò che è ancora opinione, sia utilizzando un linguaggio accessibile ma preciso. Ne andrà un po’ della loro popolarità televisiva, si prenderanno qualche insulto da chi percepisce la realtà in bianco e nero, ma pare un sacrificio necessario.

Il rischio infatti è che l’opinione pubblica si convinca che anche nella scienza “uno vale uno”. Vediamo gli effetti devastanti di tale convinzione in politica. Evitiamo lo stesso destino alla scienza, vi prego. Abbiamo già dato.
1 – https://www.aduc.it/articolo/credenze+antiscientifiche+problema+non+solo_31266.php

Pietro Moretti, vicepresidente Aduc