
Il lavoro minorile è un fenomeno globale ancora molto diffuso, troppo spesso sommerso e difficile da intercettare, che mette a repentaglio i diritti fondamentali dei più piccoli, negando loro la possibilità di studiare, di crescere in maniera sana e di godere del benessere fisico e psicologico.
Alla vigilia della Giornata internazionale contro il lavoro minorile, che ricorre domani 12 giugno, Save the Children rilancia l’allarme su questa grave violazione dei diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza che non risparmia l’Italia dove, secondo le stime, 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni sono coinvolti in esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali.
Secondo le stime presentate nel Rapporto di ricerca di Save the Children, “Non è un gioco[1]”, il 6,8% dei minori tra i 7 e i 15 anni – quasi 1 minore su 15 – svolge o ha svolto una attività lavorativa, ma la percentuale cresce tra i 14-15enni. In questa fascia d’età un adolescente su 5 (il 20%) svolge o ha svolto un’attività lavorativa e circa un 14-15enne su 3 (il 27,8%, circa 58mila adolescenti) è o è stato impegnato in lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e il benessere psicofisico perché svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico, oppure in orari notturni o comunque percepiti da loro stessi come pericolosi. I settori in cui è maggiore l’incidenza del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e in attività commerciali (16,2%), ma i minori lavorano anche in campagna (9,1%) o nei cantieri (7,8%) e dal rapporto emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%).
Il lavoro minorile incide sui percorsi d’istruzione: i minori che lavorano spesso lo fanno in orario scolastico, con conseguenti assenze da scuola e poco tempo per lo studio e le altre attività formative, aumentando così il rischio di abbandonare definitivamente la scuola. L’abbandono scolastico o l’acquisizione di scarse competenze avranno anche effetti sulle condizioni lavorative dei minori, con il rischio di accettare in futuro lavori a basso costo e ad alto rischio, o di andare a ingrossare le fila dei Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi), in un circolo vizioso di povertà e disuguaglianza.
I più recenti dati Istat hanno registrato un aumento della povertà assoluta minorile che, in assenza di interventi mirati, rischia di produrre un ulteriore aumento del numero di ragazzi e ragazze con meno di 16 anni coinvolti in attività lavorative.
Per questo motivo, Save the Children sottolinea l’urgenza di agire su più fronti, dal contrasto alla povertà economica al sostegno all’offerta educativa e formativa, con un’azione sinergica delle istituzioni e di tutti gli attori sociali ed economici. Inoltre, è fondamentale prestare particolare attenzione agli studenti in svantaggio socioeconomico, favorendo un’informazione capillare circa i servizi e le opportunità messi a disposizione per garantire il diritto allo studio, dalle borse di studio agli sgravi fiscali, e promuovendo l’introduzione di piani di sostegno personalizzati per i ragazzi e le ragazze che rischiano di interrompere anzitempo il percorso scolastico.
“Facevo cose stancanti per una ragazzina di 13 anni (…) lo puoi fare per qualche tot di giorni ma dopo un po’ crolli, non ce la fai. Se sei una persona che comunque è abituata a questo tipo di routine sì, ma dopo un po’ crolli, non hai una vita sociale, nel senso non hai amici, non puoi uscire, quindi la tua adolescenza non te la puoi godere” racconta F., 17 anni, di Palermo. “Usano la scusa che sei piccolo, che devi imparare – le troppe ore comunque sono stancanti e il corpo a volte non ce la fa” ricorda M., 19 anni, di Scalea.
Per i minori in condizioni di maggiore vulnerabilità, il rischio di finire nei circuiti dello sfruttamento lavorativo è poi ancora più elevato. Come nel caso di T., un minore straniero non accompagnato arrivato dalla Tunisia: “Non volevo chiedere soldi per strada, quindi ero costretto a lavorare per avere i soldi necessari. Tagliavo verdure per i panini kebab, lavavo i piatti. Ho iniziato a frequentare la scuola per ottenere il certificato A2, ma a lavoro mi hanno detto che non potevo andare a scuola. Mi hanno detto che se tornavo un’altra volta a scuola, non potevo lavorare con loro. Con gli educatori poi ho capito era meglio lasciare e fare un corso di formazione”.