Festa del lavoro, i precari scioperano a Roma per non perderlo

Il 1° maggio serve a dare risalto all’importanza del lavoro, inteso come espressione della dignità personale. Quella che in Italia, però, si sta sempre più perdendo. È il paradosso di un Paese che ha il più alto tasso di disoccupazione nell’Unione Europea.

 

Il 1° maggio si celebra dal 1886, quando da Chicago partì la proclamazione di uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti con il quale gli operai statunitensi rivendicavano migliori e più umane condizioni di lavoro: è una festività nazionale, dunque, che serve anche e soprattutto a dare risalto all’importanza del lavoro, inteso come espressione della dignità personale. Quella che in Italia, però, si sta sempre più perdendo. È il paradosso di un Paese che ha il più alto tasso di disoccupazione nell’Unione Europea, con una percentuale sempre elevata di dispersione scolastica, in alcune province superiore al 40 per cento, ma anche di Neet (2,2 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni, praticamente uno su quattro, che non studiano e non lavorano) e di laureati a “spasso”.

 

È lo stesso Stato che ora vorrebbe persino licenziare 6 mila insegnanti assunti con riserva e 50 mila supplenti, per colpa di una sentenza del Consiglio di Stato a cui nemmeno il Ministero dell’Istruzione vorrebbe dare seguito, tanto da chiedere attraverso la senatrice Valeria Fedeli, ministra uscente, un intervento in Parlamento: a protestare davanti al Miur, anche stamane, contro gli effetti dell’Adunanza Plenaria del 20 dicembre scorso, ci sono docenti precari in sciopero della fame.

 

La situazione, davvero difficile, ha convinto l’Anief ad inoltrare solo due giorni fa formale richiesta, perché si inneschi una soluzione immediata al problema, all’on. Nicola Molteni (Lega Nord) e al sen. Vito Crimi (M5S), rispettivamente presidenti delle Commissioni speciali di Camera e Senato, e anche agli uffici di presidenza delle Commissioni che hanno il compito, in questa fase, di esaminare gli atti del Governo.

 

Per non parlare degli stipendi di chi insegna e opera nelle scuole, scesi otto punti sotto l’inflazione tra il 2008 e il 2016: una vergogna in Europa, dove gli stipendi medi di maestri e professori sono ben al di sopra dei nostri. A confermare il dato, che ha avuto di recente, come unica risposta da parte dei governi che si sono succeduti in quel periodo, la miseria dello 0,36% di arretrati per il solo 2016, è stata l’Aran, sulla base delle risultanze provenienti dal Conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato. Tenendo conto delle retribuzioni medie pro-capite di comparto, distinte in retribuzione fissa e retribuzione accessoria, in pratica dal 2007/08 al 2015/16, negli anni del blocco dei contratti pubblici, gli aumenti nel settore privato sono stati pari a 3,6 punti. Nello stesso periodo, invece, i dipendenti del pubblico impiego e della scuola sono stati remunerati sempre con lo stesso stipendio, perdendo gradualmente oltre 8 punti.

 

“La passività dei nostri governi sull’istruzione e formazione delle nuove generazioni – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – ci sta conducendo verso un punto estremo, quasi di non ritorno. Con riflessi negativi anche sull’occupazione. Eppure, la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, che non deve aver alcun impedimento ma deve servire per il progresso della Nazione senza svilire la dignità di ogni cittadino attraverso un accordo che rispetti tutti questi principi. Questo chiede Anief: una scuola giusta”.

 

“Lo chiederemo anche dopodomani, davanti al Miur, in occasione della manifestazione organizzata, a compimento dello sciopero di domani e del 3 maggio, al fine di chiedere la riapertura delle GaE a tutti gli insegnanti abilitati, a partire – conclude Pacifico – da quei maestri con diploma magistrale che rischiano ora di ritrovarsi fuori delle assunzioni per un sentenza che nessuno vuole applicare”.