Droghe, femminicidio, omicidio stradale, maternità surrogata, eutanasia…. quando le super-pene non servono a nulla

In Arabia Saudita solo oggi sono state giustiziate con la morte sette persone per “contrabbando di hashish”. Le carceri italiane sono piene (dal 30% in su) di persone recluse per reati connessi alle droghe illegali. Da quando esiste il reato di omicidio stradale, gli incidenti sono cresciuti. Col nuovo reato  di femminicidio sarà molto difficile che maschi violenti e patriarcali cullati dalla società ci pensino due volte prima di ammazzare la loro partner. Nonostante il divieto di maternità surrogata (reato universale, l’hanno chiamato), le persone vanno altrove per farsi fare figli, mentre la giurisprudenza (anche costituzionale) dice che avrebbe torto lo Stato a vietare. Con l’eutanasia vietata (e la  solita Corte  Costituzionale che dice il contrario) chi vuole suicidarsi riesce a farlo tra le pieghe delle norme regionali o andando in Svizzera o col tradizionale silenzio sul suicidio e su chi li aiuta.

Un elenco che potremmo continuare con tanti altri esempi.

Queste sono le storie e i fatti di recente più all’attenzione mediatica.

Tutti hanno in comune un aspetto: la libertà dell’individuo.

Libertà che, per essere vissuta, porta senza tanti scrupoli ognuno anche a violare le leggi. Leggi che, partendo da questa non-libertà, si perfezionano e modellano sugli specifici casi: chi, per esempio, sarebbe contrario alla repressione (magari non con la morte…) degli spacciatori di droghe illegali… che però esistono perchè le droghe (pur desiderate dai più e usate da molti) sono illegali.

Norme che partono da un principio: io che legifero decido per te. Magari anche legiferando in nome di principi che per essere applicati non necessitano di vietare principi diversi dai miei.

Per esempio:

– se io aborro alcune droghe, non è detto che legalizzando obblighi o incentivi il consumo. Anzi – come dimostra il proibizionismo coi suoi danni – aiuto gli individui e la società tutta a farsi meno male;

– lo stesso se legalizzo l’eutanasia e la maternità surrogata;

– o, come abbiamo sperimentato da quando l’aborto è legale, che le interruzioni di gravidanza sono calate e chi non vuole abortire continua a non farlo, oltre a non essere l’aborto diventato una sorta di metodo anticoncenzionale.

Un contesto in cui, vigente e amplificata la dissuasione per via della pena, gli individui e la società hanno reagito come se queste leggi non ci fossero. Ché alla  base di certi comportamenti, anche estremi, c’è cultura ed economia, nonché il contesto in cui vengono messi in atto.

E siccome in diversi casi è difficile agire, anche legiferando, ecco che si preferisce la “scorciatoia” del divieto.

Come quelle religioni che, siccome mangiare carne di maiale potrebbe essere dannoso per i contesti climatici in cui si vive, ecco che viene vietato il consumo in assoluto, come precetto-base religioso. O anche quell’altra religione, solo oggi meno cruenta, che stabilisce il venerdì come dedicato al consumo di pesce al fine di bloccare il sovraconsumo (e conseguenti malattie) del consumo di carne.

Forse, però, AD 2025, potremmo provare ad usare altri metodi, che partano dalla responsabilità individuale?

E’ difficile, ma in alcune parti del mondo si prova. E con risultati confortevoli.

Certo, è difficile in un mondo in cui si venera un uomo maturo che fa sesso con una bimba di nove anni o si chiama “fede” che una donna possa aver partorito restando vergine. Ma non pochi esempi di convivenza pur in presenza di queste anomalie, relegandole all’individualità di ognuno, ci dimostrano che gli umani possono rispettarsi.

E allora, se fosse così semplice, perché i legislatori si prodigano in divieti delle libertà individuali, pur in contesti come quello italiano ed europeo che si sostiene siano adatti a questa rispettosa convivenza?

Perché ci sono altri elementi che scatenano i legislatori: ipocrisia e potere. Uno funzionale all’altro.

Al punto che chi li pratica perde il senso della loro differenza. Con un percorso mentale che porta il legislatore a perdere di vista il motivo per cui è tale (rappresentante di tutti, anche di chi pensa e agisce in modo diametralmente opposto al suo), e a sentirsi investito di fare il bene di tutti mettendo in atto quel che per lui è il bene.

Nel passato abbiamo avuto un fiorire di questi comportamenti, financo chi sosteneva che “l’état c’est moi” (lo Stato sono io). ma abbiamo avuto anche – con le loro differenze – Atene di Pericle, la Costituzione Usa, etc.

Questo non è il quadro di un mondo perfetto (sarebbe – se lo pensassimo – una nostra contraddizione), ma l’auspicio perché si facciano alcune riflessioni. Soprattutto chi si candida per legiferare e amministrare. Mentre gli “altri”, per meglio vivere e capire l’altro.

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc