De-alfabetizzazione. Brutti voti per la scuola

Correva l’anno 2017 quando seicento docenti universitari scrissero al ministro dell’Istruzione segnalando che, nella attività di supervisione delle tesi di laurea, rilevavano errori da terza elementare. E’ necessario ripartire dai fondamentali, scrivevano, cioè grammatica, ortografia, comprensione del testo.

Tullio De Mauro, accademico e linguista, la chiamava la “de-alfabetizzazione degli italiani” e aggiungeva: l’80% degli italiani ha difficoltà a utilizzare quello che ricavano da un testo scritto, il 70% ha difficoltà abbastanza gravi nella comprensione e il 12% ha completa incapacità di lettura. I 5 anni delle superiori non servono agli alunni per aumentare la capacità di competenza linguistica, per cui si entra nell’università portandosi dietro un bagaglio di insufficienze.

Insomma, buona parte delle persone ha difficoltà a comprendere e ricostruire quello che hanno letto o ascoltato, afferrando unicamente segnali semplici che, però, non riescono a collegare razionalmente. E’ il trionfo dei messaggini: pochi caratteri che colpiscono e non approfondiscono, risposte semplici a realtà complesse. Sicchè, vanno per la maggiore parole d’ordine, prive di contenuti e si abbandona la ragione per l’emozione.

L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa. Il rapporto 2019 (ante COVID), sottolinea che: “La maggiore preoccupazione emerge proprio dai dati della scuola superiore. Se gli esiti nazionali non si possono considerare brillanti, le differenze tra le regioni assumono una rilevanza ancora maggiore rispetto ai gradi scolastici precedenti. In tutte le materie e per ciascun grado scolastico, il Sud e le Isole hanno una maggiore difficoltà a garantire ai propri allievi i livelli minimi di apprendimento.”

Resta da capire come mai, nell’anno scolastico 2018-2019, i promossi all’esame di Stato sono stati nazionalmente il 99,7%, con punte del 99,9 in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, del 99,6 in Sicilia e del 99,5 in Sardegna.

E’ diffusa l’aspettativa dei genitori relativamente alla promozione dei propri figli, anche a prescindere, ma non si può non rilevare la consistente differenza tra i risultati delle prove INVALSI e quelli ottenuti nelle prove scolastiche finali.

Vediamo di capirne i motivi.

Ferma restando la necessità di aiutare gli alunni con particolari carenze, tenuto presente, comunque, che la media degli alunni per classe è di 21 componenti, i criteri di valutazione degli allievi dovrebbero essere quanto più omogenei possibili in tutto il territorio nazionale. Conoscenze e abilità, oltre a essere sottoposte al vaglio degli insegnanti, dovrebbero essere periodicamente e oggettivamente verificate nel corso dell’anno scolastico secondo modelli uniformi. In questo modo, si renderebbero più reali le percentuali di promossi sopra riportate e allo stesso tempo si effettuerebbe una verifica della qualità complessiva dell’offerta formativa, avviando, se del caso, corsi di aggiornamento per il corpo docente.

I dati OCSE (Organizzazione cooperazione e sviluppo economico), rilevano che negli ultimi 20 anni il punteggio medio degli studenti italiani nella lettura è costantemente diminuito.

Un processo di de-alfabetizzazione che occorre fermare.

 

(Dal quotidiano LaRagione del 12/10/2021)

 

Primo Mastrantoni, Aduc