Corte Ue: Valida direttiva sui rifugiati su revoca e rifiuto del riconoscimento status di rifugiato per motivi di sicurezza

Malian women who have come to Niger as refugees, attend a meeting in Tiguizefane, Abala district, Niger, held by CRS to ask about refugee and host community needs and to explain what's going to be done. Catholic Relief Services and our partners are mobilizing emergency water, hygiene and sanitation facilities to meet the urgent needs of thousands of Malian refugees who have fled to safety in neighboring Niger since January 2012. Fighting in Northern Mali between the army and a rebel Touareg group (the National Movement for the Liberation of Azwad, MNLA) has forced more than a hundred thousand people to flee their homes. Around half have stayed in Mali, with the others crossing borders to seek refuge in neighboring countries. According to the UN, as of the end of Febuary 2012, around 25,000 people have crossed into Niger – two thirds of them Malian refugees and a third Nigeriens trying to get home. It’s estimated that another 500 people are arriving every day. Most of the refugees are living in the open air, in makeshift shelters made of blankets stretched over sticks. Their host communities have already been weakened by a looming food crisis which is affecting the Sahel region, after poor rains and a bad harvest last year. Water, hygiene and sanitation are urgent needs for the refugees and local communities and so CRS will drill boreholes, improve wells and water points. Fuel will be provided to keep water pumps working. Tanks brought in so people can store water. Latrines, showers and washing stations will be built, giving refugees their privacy back. A garbage disposal plan is being put in place and educational materials on sanitation will be given out. CRS will also be distributing around 2,000 hygiene kits to families – including buckets, soap and storage jugs. Photo credit: Photo by Jean-Philippe Debus/Catholic Relief Services

Le disposizioni della direttiva sui rifugiati relative alla revoca e al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato per motivi collegati alla protezione della sicurezza o della comunità dello Stato membro ospitante sono valide…

 

In Belgio e nella Repubblica ceca un cittadino ivoriano e un cittadino congolese nonché una persona di origini cecene, titolari o richiedenti dello status di rifugiato secondo i casi, si sono visti, rispettivamente, revocare detto status o negare il riconoscimento del medesimo sulla base delle disposizioni[1] della direttiva[2] sui rifugiati che consentono l’adozione di misure del genere nei confronti delle persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza o, essendo state condannate per un reato particolarmente grave, per la comunità dello Stato membro ospitante.

 

Gli interessati contestano la revoca o il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, rispettivamente, dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso sugli stranieri, Belgio) e al Nejvyšši správni soud (Corte amministrativa suprema, Repubblica ceca), che nutrono dubbi in merito alla conformità delle disposizioni in questione della direttiva con la Convenzione di Ginevra[3].

Questi giudici sottolineano che, benché la Convenzione di Ginevra consenta, per i suddetti motivi, l’espulsione e il respingimento di un cittadino straniero o di un apolide, essa tuttavia non prevede la perdita dello status di rifugiato. Essi chiedono, in tale contesto, se le disposizioni della direttiva, che consentono agli Stati membri di revocare o negare il riconoscimento dello status di rifugiato per i motivi di cui trattasi, non contengano un motivo di cessazione o esclusione che non compare nella Convenzione di Ginevra. Ciò posto, essi chiedono alla Corte di giustizia se le disposizioni in questione della direttiva siano valide alla luce delle norme della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (in prosieguo: la «Carta») e del TFUE, ai sensi delle quali la politica di asilo dell’UE deve rispettare la Convenzione di Ginevra.

Con la sua odierna sentenza la Corte anzitutto rileva che, benché la direttiva stabilisca un sistema di protezione dei rifugiati specifico dell’UE, essa è fondata nondimeno sulla Convenzione di Ginevra e mira a garantirne il pieno rispetto.

In tale contesto la Corte precisa che, fintanto che il cittadino di un paese extra-UE o un apolide abbia un fondato timore di essere perseguitato nel suo paese di origine o di residenza, questa persona dev’essere qualificata come rifugiato ai sensi della direttiva e della Convenzione di Ginevra e ciò indipendentemente dal fatto che lo status di rifugiato ai sensi della direttiva le sia stato formalmente riconosciuto. A questo proposito, la Corte constata che lo status di rifugiato è definito dalla direttiva come il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, dello status di rifugiato e che quest’atto di riconoscimento ha natura meramente ricognitiva e non costitutiva di tale qualità.

Su questo punto la Corte nota che il riconoscimento formale dello status di rifugiato ha la conseguenza che il rifugiato interessato dispone del complesso dei diritti e dei benefici previsti dalla direttiva per questo tipo di protezione internazionale, di cui fanno parte, nel contempo, diritti equivalenti a quelli contenuti nella Convenzione di Ginevra e tutele giuridiche ancora maggiori, derivanti direttamente dalla direttiva, che non hanno equivalenti nella convenzione.

La Corte poi rileva che i motivi di revoca e di diniego previsti dalla direttiva corrispondono ai motivi che la Convenzione di Ginevra riconosce tali da giustificare il respingimento di un rifugiato. A tal riguardo, la Corte sottolinea che, laddove, nel caso in cui le condizioni che consentono di fare appello ai citati motivi siano soddisfatte, la Convenzione di Ginevra può privare il rifugiato del beneficio del principio del non respingimento verso un paese dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate, la direttiva dev’essere interpretata e applicata nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta, i quali escludono la possibilità di un respingimento verso un siffatto paese. Infatti, la Carta vieta, in termini categorici, la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, e l’allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tal genere.

Ciò premesso, la Corte giudica che, nei limiti in cui la direttiva, al fine di assicurare la protezione della sicurezza e della comunità dello Stato membro ospitante, prevede per questo Stato la possibilità di revocare o negare il riconoscimento dello status di rifugiato, laddove la Convenzione di Ginevra, per gli stessi motivi, consente il respingimento di un rifugiato verso uno Stato dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate, il diritto dell’Unione riconosce ai rifugiati interessati una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla citata convenzione.

La Corte giudica parimenti che la revoca dello status di rifugiato o il diniego del riconoscimento non hanno l’effetto di far perdere lo status di rifugiato a una persona che abbia un timore fondato di essere perseguitata nel suo paese d’origine. Difatti, benché una persona siffatta non possa, o non possa più, godere del complesso dei diritti e dei benefici che la direttiva riserva ai titolari dello status di rifugiato, essa gode o continua a godere di un certo numero di diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra. A tale riguardo la Corte precisa che una persona, avente lo status di rifugiato, deve assolutamente disporre dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra ai quali la direttiva fa espresso riferimento[4] nel contesto della revoca e del diniego del riconoscimento dello status di rifugiato per i suddetti motivi, nonché dei diritti previsti da tale convenzione il cui godimento esige non una residenza regolare, bensì la semplice presenza fisica del rifugiato nel territorio dello Stato ospitante.

Alla luce di quanto sin qui illustrato, la Corte conclude che le disposizioni in questione della direttiva sono conformi alla Convenzione di Ginevra e alle norme della Carta e del TFUE che impongono il rispetto di tale convenzione. Da ciò consegue che queste disposizioni devono essere considerate valide.

[1] Articolo 14, paragrafi 4 e 5.

[2] Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

[3] Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 137, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954, quale integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

[4] Articolo 14, paragrafo 6.