Corte Ue: il diritto Ue non osta a che, in caso di licenziamento illegittimo, il Jobs Act escluda la reintegrazione del lavoratore assunto a tempo determinato PRIMA del 7 marzo 2015

Lavoratore a tempo determinato stabilizzato dopo l’entrata in vigore del Jobs Act – Equiparazione a un lavoratore assunto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del Jobs Act – Trattamento meno favorevole, in caso di licenziamento illegittimo, rispetto a un lavoratore a tempo indeterminato assunto prima dell’entrata in vigore del Jobs act – Divieto di discriminazione…

Nel 2017, la Consulmarketing SpA ha avviato una procedura di licenziamento collettivo che ha interessato 350 lavoratori, tra cui KO, e all’esito della quale tutti i lavoratori sono stati licenziati.

I lavoratori licenziati hanno presentato un ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che, constatata l’illegittimità del licenziamento collettivo, ha disposto la reintegrazione nell’impresa di tutti i lavoratori interessati, ad eccezione di KO. Tale giudice ha infatti ritenuto che KO non potesse beneficiare dello stesso regime di tutela degli altri lavoratori licenziati per il motivo che la data di conversione del suo contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato era successiva al 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015 (c.d. Jobs Act).

Per effetto di tale normativa italiana, vi sono due regimi successivi di tutela dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo illegittimo. Da un lato, un lavoratore a tempo indeterminato, il cui contratto è stato stipulato fino al 7 marzo 2015, può rivendicare la sua reintegrazione nell’impresa. D’altro lato, un lavoratore a tempo indeterminato, il cui contratto è stato stipulato a partire da tale data, ha diritto soltanto a un’indennità entro un massimale.

Il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte se il diritto dell’Unione osti ad una simile normativa. Con la sentenza odierna, la Corte risponde negativamente a tale questione.

La Corte rileva, innanzitutto, che la direttiva 98/59 sui licenziamenti collettivi, richiamata dal Tribunale di Milano, non è pertinente in quanto regola soltanto la procedura da seguire nel caso di tali licenziamenti, mentre nel caso di specie non è in discussione la procedura, ma la possibile violazione dei criteri per determinare i lavoratori sottoposti a tale procedura. Neppure il richiamo alla Carta dei diritti fondamentali (artt. 20 – principio di uguaglianza – e 30 – tutela in caso di licenziamento ingiustificato) è pertinente.

La Corte rileva, invece, che la questione deve essere esaminata ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che costituisce un’applicazione del principio di non discriminazione.

Il fatto che KO abbia acquisito la qualità di lavoratore a tempo indeterminato non esclude la possibilità che egli possa avvalersi del principio di non discriminazione sancito dall’accordo quadro. Infatti, la differenza di trattamento di cui KO sostiene di essere vittima risulta dal fatto che egli è stato inizialmente assunto a tempo determinato.

La differenza di trattamento risulta, inoltre, dal regime transitorio istituito dal Jobs act, che estende la propria applicazione ai contratti a tempo determinato stipulati prima della data della sua entrata in vigore, ma convertiti in contratti a tempo indeterminato dopo tale data.

La Corte, fatta salva la valutazione del giudice del rinvio, osserva che l’assimilazione a una nuova assunzione della conversione di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato può essere giustificata dal fatto che il lavoratore interessato ottiene, in cambio, una forma di stabilità dell’impiego. Tale assimilazione può effettivamente incentivare i datori di lavoro a convertire i contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Rafforzare la stabilità dell’occupazione favorendo la conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato costituisce un obiettivo legittimo di politica sociale e di occupazione, la cui scelta rientra nell’ampio margine di discrezionalità degli Stati membri, così come la scelta delle misure atte a realizzare detto obiettivo.

La Corte osserva, comunque, che le eventuali differenze di trattamento tra determinate categorie di personale a tempo indeterminato non rientrano nell’ambito del principio di non discriminazione sancito dall’accordo quadro.