Coronavirus e rischi per l’infanzia, cosa c’è da sapere

Asian travelers girl with medical face mask to protection the coronavirus in airport

L’allarme a livello internazionale è scattato il 31 dicembre 2019, allorché le autorità sanitarie cinesi hanno riferito all’OMS l’esistenza di un focolaio di polmonite provocata da un virus finora sconosciuto nella città di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei e più popolosa metropoli della Cina centrale con circa 11 milioni di abitanti.

Il 7 gennaio 2020 gli epidemiologi cinesi hanno identificato la causa del focolaio epidemico in un nuovo virus, denominato inizialmente 2019-nCoV e, a partire dall’11 febbraio, SARS-CoV-2.
All’origine del virus si ritiene vi sia stato un animale infetto transitato nel grande mercato ittico di Wuhan, dove vengono abitualmente commercializzati anche animali vivi come serpenti o pipistrelli. Ricostruendo la storia delle mutazioni genetiche del virus, i ricercatori hanno dedotto che il passaggio iniziale dal pipistrello all’uomo è avvenuto intorno a metà novembre 2019, per poi esplodere in forma epidemica circa un mese dopo grazie alla trasmissione inter-umana.
Il nuovo virus appartiene alla vasta famiglia dei coronavirus,  la stessa di cui fanno parte il comune raffreddore ma anche le ben più insidiose SARS e MERS (una malattia epidemica diffusa in Medio Oriente sin dal 2012). In particolare, il nuovo coronavirus ha una affinità genetica stretta con il patogeno vettore della SARS, circostanza che motiva la sua denominazione ufficiale..

L’OMS ha attribuito anche un nome scientifico alla specifica forma di polmonite innescata dal coronavirus SARS-CoV-2: una nuova malattia denominata Covid-19

Gli effetti provocati dai virus sono per lo più febbre, tosse e difficoltà respiratorie, con complicanze che possono però compromettere anche in modo letale la salute dei soggetti più vulnerabili.

il 2 febbraio 2020 un team di ricercatori dell’ospedale “Lazzaro Spallanzani” di Roma ha isolato il virus – tra i primi laboratori al mondo a riuscirci – mettendone le sequenze genetiche a disposizione della comunità scientifica internazionale.

Come si trasmette il coronavirus?
Originariamente confinato in una o più specie di animali selvatici (i cosiddetti animali-serbatoio), il SARS-CoV-2 ha subito una serie di variazioni genetiche fino a compiere il “salto di specie” che lo ha reso trasmissibile all’essere umano.

Il contagio da persona a persona avviene per contatto a breve distanza e non per via aerea: ciò significa che si può contrarre il virus attraverso uno starnuto o un colpo di tosse emesso da un soggetto malato entro circa un metro di distanza, ma non semplicemente respirando l’aria di una stanza nella quale è presente una persona già contagiata, come avviene invece nel contagio dell’influenza.
Non vi sono prove che il virus possa essere trasmesso dalla donna in gravidanza al nascituro o dalla mamma al bambino attraverso il latte materno. L’UNICEF raccomanda dunque alle donne in gravidanza o in allattamento che vivono in zone considerate a rischio di applicare le normali misure di igiene raccomandate per l’intera popolazione (lavaggio frequente delle mani con sapone e alcol, indossare una mascherina respiratoria quando a stretto contatto con il bambino, coprire la bocca durante colpi di tosse o starnuti ecc.)
Le misure di estrema cautela attivate dalle autorità cinesi – come l’isolamento assoluto di una metropoli come Wuhan e le proibizioni di spostamenti imposte in molte altre città – sono motivate anche dalla possibilità della trasmissione asintomatica del virus da parte di soggetti che non presentano ancora i tipici sintomi dell’infezione (febbre, tosse secca, dolori muscolari e difficoltà respiratorie), che rendono insufficienti i meccanismi di monitoraggio basati sulla presenza di sintomi esteriori, come gli scanner termici.

Alcuni esperti ritengono tuttavia che nel periodo di incubazione del virus (stimato in circa 14 giorni) la carica virale sia alquanto bassa, e di conseguenza lo sia anche la probabilità di un contagio in fase asintomatica. Questo aspetto è dunque tuttora oggetto di dibattito tra gli scienziati.

Quale impatto ha l’epidemia di coronavirus?

I dati più aggiornati forniti dalle autorità sanitarie cinesi riferiscono di 76.775 casi di contagio e 2.248 decessi, in massima parte (2.144) nella provincia dello Hubei, sebbene vittime siano state registrate anche a Pechino, Shanghai e in altre 19 province del paese.
Il 98,3% delle infezioni sono avvenute nella Cina continentale (98,4% includendo i territori cinesi autonomi di Hong Kong e Macao). Casi di SARS-CoV-2 sono stati confermati in tutte le 22 province della Cina, mentre 1.230 contagi sono stati registrati all’estero.
I casi di infezione al di fuori della Cina sono stati registrati in altri paesi dell’Estremo Oriente (489) nel subcontinente indiano (5), in Medio Oriente (14), in Australia, USA e Canada (40) e in Europa (47 casi tra Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna, Russia, Svezia, Belgio, Spagna Finlandia).

Il 14 febbraio è stato notificato un caso di contagio in Egitto, il primo del continente africano.

Ben 634 contagi sono stati registrati a bordo della nave da crociera “Diamond Princess”, dal 4 febbraio bloccata al largo di Yokohama (Giappone). Al momento questa nave – in corso di progressiva evacuazione – rappresenta il più grande focolaio di SARS-CoV-2 al mondo al di fuori della Cina,

Il 30 gennaio, a seguito del verificarsi di nuovi contagi in diverse regioni del pianeta, l‘OMS ha dichiarato l’epidemia da coronavirus una “emergenza sanitaria globale” (Public Health Emergency of International Concern – PHEIC). Nonostante la terminologia, la dichiarazione di emergenza globale non va considerata come un aggravamento particolare della situazione (che era già stata classificata come “allarme elevato” il 27 gennaio) e non costituisce un evento straordinario: dal 2009 a oggi sono state ben 6 le dichiarazioni di emergenza globale dell’OMS.

Secondo le prime, provvisorie stime epidemiologiche, il coronavirus ha un tasso di letalità intorno al 3%, ben inferiore a quello della SARS (11%) o dell’Ebola (50%).
A partire dal 1° febbraio, il numero di guarigioni ha superato il numero dei decessi, mentre il 18 febbraio ha visto per la prima volta il numero delle guarigioni prevalere su quello dei nuovi contagi: dati che indicano il successo delle misure di contenimento attuate a livello planetario e, con un flebile ottimismo, l’inizio della fase discendente dell’epidemia.
Ad oggi, i guariti sono 18.864.

Il virus e l’Italia

Nonostante  le eccezionali misure di sicurezza attuate a Wuhan e nel resto della Cina, era inevitabile che il virus potesse estendersi ad altre regioni del mondo, anche in considerazione del fatto che la trasmissione da persona a persona era iniziata circa 10 giorni prima che fosse lanciato l’allarme da parte delle autorità sanitarie cinesi.
Ad oggi casi di infezione da SARS-CoV-2 sono stati confermati, oltre che in Cina, in 25 Stati.

Dal 31 gennaio anche l’Italia compare in questa lista, a seguito del ricovero a Roma di una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan e giunti in Italia 8 giorni prima. Il 7 febbraio è stato identificato un terzo caso di contagio – un giovane ricercatore italiano che ha contratto il virus nell’unico giorno di vacanza trascorso a Wuhan. Un quarto connazionale ha contratto il virus a bordo della nave “Diamond Princess”.

Il 21 febbraio sono stati identificati 16 nuovi casi di infezione, localizzati a Codogno (Lodi) e a Vo’ Euganeo (Padova), probabilmente riconducibili a un cittadino italiano rientrato alcune settimane fa dalla Cina. Si tratta dei primi casi di circolazione in Italia del virus (nei casi precedenti il virus era stato contratto in Cina).

Nel nostro paese sono stati attivati sin dall’inizio della crisi scanner termici negli aeroporti per controllare la temperatura dei viaggiatori in arrivo dalle zone a rischio, mentre l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha allertato i medici di famiglia delle città che ospitano aeroporti internazionali, come Roma e Milano.
Fino al 28 aprile sono stati inoltre sospesi i collegamenti aerei con Cina, Hong Kong, Taiwan e Macao.
Una speciale task force sul coronavirus è operativa presso il Ministero della Salute.
Vale la pena sottolineare che l’Italia possiede un sistema di sorveglianza e gestione delle epidemie riconosciuto anche dall’OMS come tra i migliori al mondo.

Quali sono i pericoli per la salute infantile?

I coronavirus sono responsabili di circa 1/5 delle polmoniti virali, e la polmonite è tuttora la prima causa diretta di mortalità infantile a livello globale, con circa 800.000 decessi annui tra i bambini di età compresa tra 0 e 5 anni (153.000 tra neonati di età inferiore a un mese), pari a un decesso ogni 39 secondi.
I bambini, insieme agli anziani e ai malati cronici, sono i soggetti più vulnerabili alle infezioni respiratorie acute. A essere a rischio sono soprattutto i neonati e i bambini sotto i 2 anni di età, a causa della fisiologica immaturità del sistema immunitario. I bambini immunodepressi sono esposti a un rischio particolarmente elevato.

Nell’epidemia in corso è da sottolineare un numero di infezioni tra i bambini e i ragazzi di gran lunga inferiore rispetto a quanto avviene in altri contesti epidemici. Per questo fenomeno sono state proposte diverse possibili spiegazioni.

Ci sono cure per questa malattia?

A differenza della comune polmonite batterica, quella da SARS-CoV-2 non può essere curata con gli antibiotici.
Al momento non esistono però farmaci antivirali specifici. La terapia consiste quindi nell’alleviare i sintomi con anti-infiammatori, antipiretici e idratazione, ma soprattutto nel rigoroso isolamento del paziente.
Non esiste neppure un vaccino, la cui messa a punto e sperimentazione richiederebbe, secondo le diverse stime ipotizzate, da un minimo di 3 mesi a oltre un anno di tempo.

La “medicina” più immediata ed efficace contro il coronavirus è quindi impedire che esso continui a propagarsi: a ogni trasmissione da uomo a uomo, difatti, il suo genoma muta come risposta alla “pressione” del sistema immunitario del soggetto ospitante, e aumentano quindi le probabilità che si inneschi una mutazione che lo renda ancora più aggressivo e letale.