Coronavirus, 150mila morti in più al giorno per fame nel mondo. La stima di WFPI

Portrait of a Gambian boy on board the Bourbon Argos after being rescued. from a inflatable boat.

Molto si è scritto, si scrive e si scriverà sulle varie crisi innescate dal Covid-19 in tutto il pianeta. Fra queste, c’è n’è una, silenziosa, potenzialmente una tragedia, che sta passando sostanzialmente inosservata. Parliamo di fame nel mondo; parliamo di intervento umanitario di soccorso alle popolazioni civili colpite da conflitti, malattie, cataclismi naturali; parliamo di una delle perle della cooperazione internazionale, un gioiello delle Nazioni Unite: parliamo del WFP – il World Food Program.

 

Si tratta della più grande organizzazione umanitaria del mondo, istituita in via permanente nel 1965 dalle Nazioni Unite, con lo scopo di fornire assistenza diretta a chi versa in gravi difficoltà alimentari. Il WFP assiste un numero prossimo ai cento milioni di esseri umani, attraverso una rete di quasi 18mila persone, coordinate dalla sede centrale di Roma. Sostanzialmente, quando nei reportage giornalistici, o in alcuni film, si vedono camion bianchi distribuire sacchi di riso, confezioni di cibo e farmaci, la probabilità che si tratti di un mezzo WFP è molto elevata.

Questa istituzione è stata una delle principali protagoniste della progressiva riduzione delle morti per fame o malnutrizione nel mondo. Una grande impresa collettiva che, negli ultimi anni, ha assunto dimensioni straordinarie, impensabili pochi decenni fa.
Tanto per ricordare uno dei possibili punti di partenza, basta andare con la memoria al luglio del 1985; a due stadi pieni di gente: Wembley e Philadelphia; a Bob Geldof e a un motivetto uscito il Natale precedente Do They Know it’s Christmas, che tutti quelli sopra gli anta certamente conosceranno. Il Live Aid, forse il più grande concerto rock di sempre, fu una operazione di raccolta fondi che prese le mosse da una tragedia umanitaria, quella etiope: esattamente il genere di problemi che oggi rientrano nelle cure del WFP: le crisi alimentari.

L’edizione 2020 del Global Report on Food Crises, rilasciata a metà aprile di quest’anno, fotografa una situazione preoccupante, caratterizzata da un importante regresso nella lotta alla fame e alla malnutrizione, non solo ma soprattutto, a causa del Covid-19.
In un recente incontro televisivo sulla CNN, il direttore generale del WFP, intervistato dalla celebre anchorwoman Amanpour, ha parlato del rischio concreto di riscontare un ritmo di 150mila morti per fame o malnutrizione in più al giorno, e proprio a causa del Covid-19.
Come mai? In che modo un virus del genere può aumentare così drammaticamente i morti per fame o malnutrizione?

Facciamo un passo indietro e capiamo cosa il WFP combatta: si tratta di due nemici. Il primo è l’insicurezza alimentare (food insecurity). Si riferisce alla mancanza di accesso sicuro a un ammontare di cibo sano e nutritivo, considerato sufficiente per le esigenze di normale crescita umana e di una vita attiva e salubre. Il secondo è la malnutrizione, un evento che include sia la denutrizione che il suo eccesso opposto (che conduce all’obesità e che, sia detto per inciso, è un problema serio anche in Italia).

Insicurezza e malnutrizione hanno cause diverse ma spesso concorrenti: conflitti (la prima causa), eventi atmosferici estremi (la seconda), shock economici locali, siccità, pandemie ed epidemie (termini ormai divenuti purtroppo familiari); pesti animali, locuste e altre affezioni dell’agricoltura completano il quadro.
La geografia di questi gravi problemi copre l’intero pianeta con la sola eccezione dell’Europa e del Nord America. Il resto del mondo ‒ Africa in testa ‒ non è immune. A fine 2019, le Nazioni Unite censivano 195 milioni di persone come affette da questi problemi (pari all’incirca alle popolazioni di Italia, Germania e Portogallo messe assieme), 73 milioni delle quali in Africa, 43 in Asia. Sud Sudan, Yemen, Haiti, Afghanistan, Siria e Venezuela guidano questa poco invidiabile classifica.

Veniamo dunque al punto: il Covid19, già tragico di suo, in che modo rischia di riavvolgere il nastro del tempo, riportando in alto le cifre di decessi umani per fame e malnutrizione? In due modi: uno diretto, l’altro indiretto.

Il primo dipende dal verificarsi, o meno, di una diffusione del contagio presso le popolazioni interessate dai problemi alimentari di cui si parla. È facile immaginare quanto una epidemia Covid, ad esempio nello Yemen o in Siria ‒ paesi oggi privi di un sistema igienico-sanitario accettabile, anche solo per l’ordinaria amministrazione, e con una popolazione in precarie condizioni di salute, a causa di una cattiva nutrizione ‒ porterebbe la mortalità ad impennarsi.
Il secondo impatto negativo del Covid è, si è detto, di tipo indiretto. La causa è il rischio di una riduzione dei finanziamenti ordinari che i paesi ricchi annualmente destinano al WFP e alle altre agenzie ONU di sostegno. Attualmente, i donatori sono circa quaranta nazioni su 193 nazioni mondiali, con gli Stati Uniti a guidare la classifica come main donor. Il rischio qui è che le economie occidentali, ferite e col fiato corto a causa dei riflessi economici della crisi Covid, si trovino costrette a ridurre, o sospendere, i flussi di finanziamento al WFP.

Le dimensioni della tragedia potenziale nel dramma Covid sono tutte qui: ci si attendono 265 milioni di persone nei paesi a basso e medio reddito che soffriranno di insicurezza alimentare acuta entro la fine del 2020. Una tragedia silenziosa dentro un minuscolo virus.

 

ALBERTO MATTIACCI