Consumi: anziani valgono 200 miliardi

L’Italia invecchia e aumenta la domanda generata dalla fascia più anziana della popolazione. La spesa degli over 65 nel nostro Paese vale 200 miliardi, quasi un quinto dell’intero ammontare dei consumi delle famiglie. Lo stima il Centro studi di Confindustria (Csc)…

 

di Massimo Rodà e Francesca G.M. Sica

  • La dinamica demografica è una delle sfide globali più importanti, insieme a quella ambientale. Negli ultimi decenni la popolazione mondiale è cresciuta rapidamente, è divenuta più longeva ed è aumentata la disuguaglianza tra le diverse fasce di età.
  • Nel 2018 la popolazione mondale ha raggiunto i 7,6 miliardi di persone. L’80% degli over 65 vive nelle 20 economie maggiormente sviluppate che producono l’85% del PIL mondiale. Entro il 2030 ci saranno circa 8,5 miliardi di persone e l’età mediana raggiungerà i 33 anni, dai 30 anni del 2018 (24 anni nel 1950, stime Banca mondiale). Il numero degli over 65 da 674 milioni nel 2018 raggiungerà nel 2030 il miliardo, vale a dire oltre 1 over 65 ogni 10 abitanti.
  • L’Italia si caratterizza per avere una popolazione mediamente molto longeva (81 anni gli uomini e 85 le donne) e con una quota di over 65 tra le più alte al mondo: nel 2018 erano 13,6 milioni (22,8% del totale), in aumento dell’11% dal 2012. Sono previsti crescere ininterrottamente fino al 2047, quando saranno quasi 20 milioni (34%). Nel 2018 l’indice di vecchiaia ha raggiunto il suo massimo storico di 173,1: ogni 100 giovani ci sono dunque 173 anziani; erano 130 nel 2000 e 58 nel 1980. L’indice di dipendenza degli anziani ha raggiunto il 35,7%, ciò significa che in Italia ogni 3 persone attive ve n’é 1 over 65. Si tratta del valore più elevato in Europa (31%) e il secondo al mondo dopo il Giappone (46%).
  • Tradizionalmente il perimetro della cosiddetta Silver Economy è identificato dalla quota di spesa pubblica per il capitolo “vecchiaia” (che vale circa il 27% del totale). Ma non si tiene conto della spesa privata per domanda di servizi domestici di assistenza e cura che è a carico delle famiglie e che da occupazione a circa 1,6 milioni di persone (nella veste di badanti e personale domestico). In realtà gli ambiti che compongono l’economia della terza età sono più numerosi e rappresentano una fonte importante di domanda potenziale e quindi un’opportunità per il sistema economico.
  • Gli over 65 si caratterizzano per: un consumo pro-capite medio annuo più elevato, 15,7mila euro (contro i 12,5 per gli under 35); un reddito medio più alto, 20mila euro (a fronte di 16mila degli under 35); una maggiore ricchezza reale pro-capite, 232mila euro (vs 110mila); una solidità finanziaria superiore, con 1 anziano su 10 indebitato (a fronte di quasi 1 su 3 tra gli under 40); un’incidenza della povertà inferiore della metà rispetto agli under 35 (13% vs 30%); una resilienza al ciclo economico in quanto il reddito medio annuo degli over 65, tra le diverse fasce d’età, è l’unico ad avere superato i livelli pre-crisi.
  • La domanda generata direttamente dagli over 65 in Italia è rilevante: in euro correnti, il valore complessivo della spesa realizzata da questa fascia della popolazione è di circa 200 miliardi di euro, quasi un quinto dell’intero ammontare dei consumi delle famiglie residenti. Si stima che nel 2030 la quota varrà circa il 25% del totale e nel 2050 il 30%.
  • Gli anziani in salute rappresentano un segmento di consumatori appetibile per le imprese. Diverse aziende stanno ritarando i propri prodotti, beni o servizi, a misura di anziano. Il punto cruciale, dunque, non è tanto invecchiare, ma invecchiare “bene”. In Italia, da questo punto di vista la situazione è favorevole: l’indicatore “speranza di vita a 65 anni” è di 21 anni, mentre secondo quello “senza limitazioni nelle attività”, un sessantacinquenne avrebbe in media davanti a sé 9,9 anni di vita in salute.

Negli ultimi decenni si stanno verificando a livello globale significativi cambiamenti demografici – lenti ma costanti – che stanno portando a un graduale invecchiamento della popolazione.

Accanto a fattori che sicuramente incidono negativamente sulle dinamiche economiche e sociali, tra cui l’aumento dei costi sanitari, la carenza di profili professionali e di servizi finanziari per gli anziani, le difficoltà nel rendere sostenibili i sistemi pensionistici, la Silver Economy offre importanti potenzialità, in termini di erogazione di servizi sanitari (la c.d. Long Term Care, ovvero le prestazioni per la non autosufficienza, dall’assistenza alle residenze per anziani), di offerta di beni e servizi per la terza età; che spaziano dai servizi residenziali a quelli culturali e ricreativi, ai viaggi e turismo, domotica, alimentazione. Varie multinazionali stanno cercando di diversificare i loro prodotti per “tararli” a misura di anziano al fine di intercettare il potenziale economico derivante dalla popolazione anziana che non solo dispone di una capacità di spesa pro capite più elevata ma anche relativamente più stabile rispetto al ciclo economico nel confronto con gli under 40 anni. In termini monetari, il valore generato dalla c.d. Silver Economy è stato stimato in 7,6 mila miliardi di dollari l’anno negli USA ma a livello globale l’ammontare sarebbe di 15,6mila miliardi, un ordine di grandezza tale da rappresentare la seconda “potenza economica” dopo gli USA e prima della Cina.

Perché sta invecchiando la popolazione? Tale fenomeno è il risultato di una caduta a lungo termine dei tassi di fertilità e di un aumento dell’aspettativa di vita (longevità); quest’ultimo effetto riflette diversi fattori, quali la riduzione della mortalità infantile, i progressi nella sanità pubblica e nelle tecnologie mediche, una maggiore consapevolezza dei benefici collegati a uno stile di vita sano, l’allontanamento dal lavoro faticoso a favore di professioni terziarie, il miglioramento delle condizioni di vita.

La questione dell’invecchiamento è stata messa in agenda dal summit 2019 del G8 a Osaka che l’ha definita, per la prima volta nella storia, un rischio globale. Ma perché mai i grandi della terra dovrebbero occuparsi di demografia e non di economia? Per il fatto che l’80% delle persone al di sopra dei 65 anni vive nelle 20 economie maggiormente sviluppate che insieme producono l’85% del PIL mondiale e, più degli altri, potrebbero beneficiare del “dividendo demografico” generato dai paesi emergenti. In questi ultimi, al contrario, va “infoltendosi” la coorte in piena età lavorativa (30-55 anni) ad un ritmo superiore rispetto alla capacità del sistema economico locale di creare posti di lavoro e, pertanto, non viene assorbita dal mercato del lavoro.

Secondo le ultime proiezioni della Banca mondiale, entro il 2030 la popolazione mondiale supererà gli 8,5 miliardi (7,6 nel 2018) mentre l’età mediana raggiungerà i 33 anni dai 30 anni raggiunti nel 2018 (era 24 nel 1950).

Tali sviluppi avranno implicazioni profonde non solo per gli individui ma anche per i governi, le imprese e la società civile. L’impatto riguarderà, tra gli altri, la salute e i sistemi di assistenza sociale, il mercato del lavoro, le finanze pubbliche e i sistemi pensionistici.

L’Italia è uno dei paesi al mondo con la più elevata vita mediana (45,5 anni) e una significativa quota di anziani sul totale della popolazione (23%). Le previsioni sull’andamento demografico evidenziano un rafforzamento di tale tendenza e la conseguente necessità – per i governi e per il sistema economico – di fare fronte a nuove importanti sfide e opportunità.

 

1. La piramide demografica in Italia e l’evoluzione degli indicatori di invecchiamento

La dimensione di una popolazione e la sua composizione per età sono influenzati dall’effetto congiunto di natalità, mortalità e migrazioni. La popolazione per età puntuali o classi di età, se rappresentata graficamente, si distribuisce secondo una forma di una piramide (la cosiddetta piramide demografica) nella quale ogni barra misura la numerosità associata ad una determinata età o classe di età in valore assoluto o in percentuale della popolazione totale.

La forma della distribuzione della popolazione italiana è lontana da quella classica a piramide, in quanto in Italia la popolazione non si distribuisce in maniera uniformemente decrescente al crescere dell’età, come invece accade per la popolazione mondiale (Figura A) dove prevale l’effetto dei paesi emergenti, caratterizzati da un alto tasso di natalità che assicura il ricambio generazionale. Nel 2018 la distribuzione per età assume in Italia una forma romboidale: stretta alla base in corrispondenza di età “basse” e larga sia nella parte centrale sia all’apice dove ci sono età “alte”. L’allargamento all’apice è spiegato dal transito delle generazioni nate negli anni del baby boom (1961-75) verso la tarda età attiva (40-64 anni) e verso l’età senile (65 e più), mentre il restringimento della parte inferiore è causato dal basso tasso di natalità. Su quest’ultimo aspetto tutti gli scenari previsivi circa il movimento naturale della popolazione scontano saldi negativi annuali tra nascite e decessi. Anche assumendo l’ipotesi di un parziale recupero della fecondità (da 1,29 figli per donna nel 2018 a 1,59 entro il 2065) non basterà a determinare un numero di nati che risulti, anno dopo anno, sufficiente a compensare l’aumentato numero di morti.

Nel 2018 il saldo naturale, ovvero la differenza tra nati e morti, è risultato negativo (-187mila), registrando il secondo livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191mila). Di conseguenza, la distribuzione della popolazione dell’Italia al 2030 si discosterà ancora dalla classica “piramide” che caratterizza la struttura demografica dei paesi in via di sviluppo o delle economie emergenti: si restringerà ancora la base a causa della bassa natalità e si amplierà il vertice a causa dell’invecchiamento.

In Italia nel 2018 la popolazione con età superiore a 65 anni era pari a 13,6 milioni di persone (22,8% del totale), in aumento dell’11% rispetto al 2012. In particolare la fascia dei più anziani, gli over 80, è molto numerosa (circa 4,2 milioni di individui) e rappresenta il 7% della popolazione italiana. Per l’Italia le proiezioni circa la composizione della popolazione sono allarmanti, posto che le coorti di età avanzata si infoltiranno ulteriormente mentre quelle giovani si svuoteranno, aumentando il peso della popolazione inattiva su quella in età lavorativa, prevista anch’essa, a sua volta, in sensibile riduzione.

In particolare, il numero di over 65 è previsto aumentare ininterrottamente fino al 2047, quando sarà pari a quasi 20 milioni di persone, e negli anni successivi è stimata ripiegare marginalmente fino a raggiungere nel 2066 i 17,8 milioni. La quota sul totale della popolazione nazionale è vista in aumento fino al 2050 e poi stabilizzarsi intorno al 34%.

Sebbene il catastrofismo demografico sia stato regolarmente smentito in passato, è evidente che le previsioni sulla popolazione traccino comunque una tendenza che, stando a quanto oggi si va osservando, difficilmente verrà invertita a meno che non vengano implementate politiche mirate. Ad oggi, infatti, le statistiche ufficiali rilevano che l’indice di vecchiaia, calcolato come rapporto tra over 65 e popolazione giovane (under 14), nel 2018 ha raggiunto il massimo storico di 173,1. Ciò significa che in Italia ogni 100 giovani ci sono 173 anziani; nel 2000 erano 130, mentre nel 1980 il rapporto era intorno a 58, segnalando una situazione inversa, vale a dire una prevalenza di giovani sugli anziani (ogni cento giovani vi erano 58 anziani). La dinamica progressivamente crescente dell’invecchiamento è spiegata da due tendenze contrapposte: da una parte si è avuto un aumento pressoché costante della quota di anziani e, dall’altra, una contestuale diminuzione della fascia più giovane di popolazione.

Il fenomeno dell’invecchiamento è rilevante non solo per le conseguenze sociali ma anche per quelle economiche in termini di spesa pensionistica e sanitaria e di sostenibilità del sistema pensionistico. In Italia, infatti, l’indice di dipendenza degli anziani nel 2019 è salito a 35,7%, il valore più elevato in Europa (nella media UE è pari a 30,5%) e il secondo al mondo dopo quello del Giappone (46%). L’indice, calcolato come rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età attiva (15-64) segnala nel caso dell’Italia che ogni 3 persone di età 15-64 potenzialmente attive nel mercato del lavoro (in qualità di occupati o di persone in cerca di lavoro) ve n’è 1 considerata inattiva perché ha un’età superiore ai 65 anni.