Carceri, G.M. Meloni (Piazza Carceri e Sicurezza): la detenzione deve essere considerata come un tatuaggio che lascia cicatrici ma può essere cancellato

Roma – I suicidi nelle carceri italiane sono già 72 dall’inizio dell’anno. Un dato che dovrebbe indurre ad una analisi meno superficiale e più approfondita delle cause di questa tragedia. Tra le motivazioni di questa strage, ci permettiamo di segnalare un elemento che sinora non è mai stato messo in luce. Si tratta dell’elemento della percezione del soggetto detenuto o ex detenuto da parte della società.

In generale, la considerazione della società nei riguardi del soggetto detenuto o ex detenuto, è fatta di disprezzo, di rabbia, di sospetto, di sfiducia. In linea di massima, la società considera la detenzione come un marchio, come un tatuaggio indelebile. Ebbene proprio questa opinione generale, influisce moltissimo sul fenomeno dei suicidi nelle carceri italiane, sulla volontà di partecipare ad eventuali percorsi di istruzione, formazione e lavoro nelle carceri, e influisce anche in maniera rilevante sulla recidiva.

Difatti, un soggetto che si trova ristretto, spesso è portato a pensare “è meglio che mi levo la vita subito, almeno finisco di soffrire, tanto anche qualora dovessi uscire da qui, per me è ugualmente finita, non saprei dove andare, non ho speranze, nessuno darà mai delle opportunità a un ex detenuto, non troverò mai un lavoro, nessuno mi concederà mai in locazione una casa, anche se dovessi incontrare dei nuovi affetti questi sarebbero poi inevitabilmente condizionati negativamente dal periodo vissuto della mia detenzione. Una volta uscito da qui, sarei comunque costretto a tornare a commettere dei reati, e, quindi, in poco tempo, mi ritroverei sempre all’interno di una cella”.

Ugualmente, un soggetto che si trova ristretto è portato a pensare “ma tanto chi me lo fa fare di provare a cambiare vita, di impegnarmi in qualche attività, è uno sforzo inutile, ormai la società mi ha già condannato e non c’è più niente da fare, nessuno crederà mai in me, io non ho speranze di poter trovare un lavoro in seguito, non ho speranze di potermi reintegrare nella società”. Analogamente, un soggetto che è appena uscito dal carcere, è portato a pensare “ma tanto è inutile che cerco di cambiare il percorso della mia esistenza, ormai è segnata per sempre, è inutile che cerco un lavoro per vivere onestamente, perdo semplicemente del tempo, è come non voler guardare in faccia alla realtà, nessuno avrà mai fiducia di un ex detenuto, l’unica strada che ho per sopravvivere è tornare subito a delinquere”.

Al fine di arginare questa grande tragedia che sono i suicidi nelle carceri italiane, ma anche al fine di contenere la recidiva, sarebbe importante non solo aiutare materialmente la risocializzazione del detenuto, ma anche invertire questa rotta del pensiero comune. Sarebbe importante che i soggetti che posseggono maggiori capacità persuasive nella società, come mass media, autorità politiche, religiose, ecc., aiutino a mutare la percezione globale del soggetto detenuto, in particolare aiutino a diffondere il messaggio che ci può essere sempre un nuovo inizio, aiutino a considerare la detenzione come un marchio, come un tatuaggio, che lascia delle cicatrici ma che può essere sempre cancellato.

Così in una nota Giuseppe Maria Meloni, portavoce dell’iniziativa Piazza delle Carceri e della Sicurezza del cittadino.