Biometano, GNL e greenwashing industriale: il caso Fox Petroli tra Vasto e Pesaro

di Roberto Malini

In un momento storico in cui la crisi climatica impone decisioni coraggiose e visioni lungimiranti, il settore energetico italiano si trova di fronte a un bivio: perseguire la transizione ecologica reale oppure perpetuare modelli fossili mascherati da operazioni “verdi”. Il caso della Fox Petroli, attiva nella produzione di biometano a Vasto e coinvolta nel controverso progetto di impianto di liquefazione di gas naturale a Pesaro, solleva interrogativi urgenti di natura tecnica, ambientale ed economica.

Una recente ipotesi, espressa dall’esperto Carlo Ialenti, suggerisce che Fox potrebbe utilizzare il biometano prodotto a Vasto come materia prima da liquefare e stoccare nel futuro impianto GNL pesarese. Un’idea che, seppur suggestiva, forse anche agli occhi degli enti che si troveranno presto a valutare il nuovo progetto Fox Petroli – dopo la bocciatura di quello in corso da parte del CTR Marche – non regge all’analisi sistemica, come dimostrano i dati attuali e lo scenario globale delineato anche dallo studio dell’Oxford Institute for Energy Studies sul rischio di chiusura dello Stretto di Hormuz.

Il biometano è senza dubbio una risorsa utile nella transizione, ma i suoi limiti quantitativi e logistici sono evidenti: il biometano prodotto a Vasto è destinato a un uso locale o nella rete nazionale e le sue quantità sono insufficienti a sostenere un terminale di liquefazione industriale; lliquefazione è un processo energivoro e complesso, che comporta consumi aggiuntivi e impatti ambientalitali da compromettere la neutralità climatica del biometano stesso; il trasporto del gas liquido da Vasto a Pesaro – sia via nave che via gomma o rotaia, con i relativi rischi e costi – non trova giustificazione economica e produrrebbe ulteriori danni ambientali con inquinamento, trasgformazioni paesaggistiche inaccettabili, pericoli per la cittadinanza, influenza perniciosa nel cambiamento climatico.

Secondo lo studio dell’Oxford Institute, anche in caso di shock globale simile al 2022 — con prezzi spot del GNL fino a 30 $/MMBTU per effetto di crisi geopolitiche come la chiusura dello Stretto di Hormuz — l’Europa perderebbe comunque forniture a favore dell’Asia, più reattiva e attrezzata sul piano infrastrutturale.

L’Italia, in tale scenario, si troverebbe penalizzata, con difficoltà di approvvigionamento e stoccaggio. Ma questo non renderebbe il progetto Fox-Pesaro più competitivo: al contrario, lo esporrebbe al rischio di restare vuoto o sottoutilizzato, esattamente come accaduto a vari terminali italiani negli ultimi anni.

In altre parole, neanche la geopolitica giustifica un terminale ridondante e costoso come quello previsto a Pesaro.

L’ipotesi di legare il biometano al progetto GNL rischia di apparire come un tentativo di greenwashing industriale. Si riveste di sostenibilità una struttura nata per stoccare e trattare gas fossile liquefatto e contemporaneamente si distorce l’immagine del biometano, trasformandolo in paravento narrativo per operazioni climalteranti. Si cerca, inoltre, di rassicurare cittadini e decisori pubblici, senza affrontare le vere criticità ambientali e sociali del progetto.

Il terminale GNL di Pesaro, anche se alimentato parzialmente con biometano, non risponde a un bisogno energetico nazionale e non è compatibile con le traiettorie europee di decarbonizzazione. Non è resiliente, non è conveniente, e non serve né all’Italia né all’ambiente.

La vera transizione non si costruisce aggiungendo un’etichetta verde a progetti fossili, ma investendo in efficienza, rinnovabili, reti intelligenti e ricerca. Il caso Fox Petroli ci ricorda che le scorciatoie presentate con una facciata green non portano lontano.