Avvocati e AI: limiti di utilizzo

Sempre più spesso sentiamo parlare di AI, intelligenza artificiale, che, secondo alcuni, dovrebbe affiancare i professionisti per semplificare il loro lavoro. I professionisti, tuttavia, non dovrebbero mai dimenticare che se voglio utilizzare nel loro lavoro questo portentoso ausilio, devono informare il cliente.

L’art. 13 della Legge sull’AI, approvata al Senato in data 13 Settembre 2025 (1), prevede che i clienti debbano avere da parte del professionista una corretta informazione sull’eventuale ricorso all’intelligenza artificiale.

Tuttavia occorre domandarsi, soprattutto in alcuni ambiti lavorativi, è corretto ricorrere all’AI?

In verità non esistono professioni per cui sia esclusa la possibilità di ricorrere all’intelligenza artificiale, ma l’utilizzo della stessa non esonera mai il professionista da un obbligo di puntale verifica.

Anche l’AI può sbagliare, ed in questo caso a rispondere dell’errore sarà proprio il professionista che l’ha utilizzata affidandosi completamente ad essa.

Certo è ancora presto per capire quale sarà la posizione assunta dalla giurisprudenza sugli errori generati dall’AI, ma esistono già due precedenti che probabilmente hanno avuto il pregio di indicare la strada corretta da seguire.

Il primo Tribunale ad occuparsi degli errori dell’AI è stato il Tribunale di Firenze, nel marzo 2025 (2).

Emergeva, infatti, che il legale di una delle parti si era affidato nella redazione dell’atto all’AI che, tuttavia, aveva citato della giurisprudenza inesistente.

L’avvocato in questo caso non aveva controllato la giurisprudenza indicata, e il Tribunale decideva di non applicare l’art. 96 c.p.c., che prevede la lite temeraria, quindi una condanna a carico di chi abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave.

In data 16 Settembre 2025 è stato il Tribunale di Torino (3) a ritornare sull’argomento ma le conseguenze sono state ben più gravi!

Il ricorso redatto dall’AI ma sottoscritto e depositato dal legale era caratterizzato da indicazioni fallaci e inconferenti. Talmente tante da portare il Tribunale a censurare, in maniera grave e pesante, il comportamento della parte.

In questo caso è stato applicato l’art. 96 cpc e più precisamente i commi 3 e 4. Il ricorrente, infatti, aveva presentato un ricorso contenente molteplici contestazioni, anche preliminari, ma erano tutte totalmente infondate poiché inventate dall’AI.

L’Avvocato, quindi, prima di procedere al deposito aveva l’obbligo non solo di verificare che la giurisprudenza citata esistesse e fosse pertinente, ma anche, per non dire soprattutto, doveva verificare che le eccezioni, e la difesa in generale, non fosse totalmente infondata.

Posto che le predette attività (si ribadisce obbligatorie) non sono state poste in essere, il ricorrente, ovvero la parte, è stata condannata al pagamento di 500 euro in favore di ciascuna delle parti resistenti, nonché al pagamento della somma di € 500 da versarsi alla cassa delle ammende.

In questo caso la responsabilità dell’Avvocato è chiara e non è da escludere che oltre all’azione civile, la parte possa agire nei confronti del proprio legale anche in sede amministrativa ovvero contestando la violazione del codice deontologico.

In conclusione: l’AI va benissimo ma il controllo finale spetta sempre all’Avvocato che risponde anche per gli errori di quest’ultima.

 

1 – https://www.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2025/settembre/ddl%201146-b__1_443563_vers2.pdf

2 – https://www.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2025/settembre/Firenze.pdf

3 – https://www.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2025/settembre/torino.pdf

 

 

 

Sara Astorino, legale, consulente Aduc