
Verona– Negli ultimi anni, la crescente consapevolezza dell’importanza della salute pre-concezionale ha acceso i riflettori sul ruolo cruciale dell’alimentazione nei percorsi di fertilità, sia naturale che assistita. Questo è particolarmente evidente nelle donne affette da patologie autoimmuni, condizioni in costante aumento anche tra le giovani in età fertile, spesso sottovalutate o diagnosticate solo dopo ripetuti fallimenti d’impianto o aborti spontanei ricorrenti.
Alimentazione, autoimmunità e fertilità sono stati tra i temi più innovativi affrontati dagli esperti nel corso del Congresso Nazionale della Società Italiana di Riproduzione Umana – SIRU, che si è concluso a Verona.
Disfunzioni tiroidee (Hashimoto), celiachia, sindrome di Sjögren, lupus eritematoso sistemico, malattie infiammatorie croniche intestinali e sclerosi multipla sono solo alcune delle condizioni che possono compromettere negativamente la capacità riproduttiva.
In questi casi, il sistema immunitario può interferire direttamente con lo sviluppo follicolare, l’ovulazione, la qualità ovocitaria e la ricettività endometriale, oltre a favorire uno stato infiammatorio cronico di basso grado che ostacola l’impianto e aumenta il rischio di aborto. Anche disfunzioni della coagulazione legate a mutazioni genetiche (es. MTHFR, anticorpi antifosfolipidi) possono compromettere la vascolarizzazione endometriale e la placentazione.
“In questo contesto, la nutrizione assume un ruolo terapeutico centrale: non solo come supporto ai trattamenti medici, ma anche come strumento preventivo e modulatore dell’attività immunitaria e infiammatoria – ha dichiarato la Dottoressa Veronica Corsetti, Ricercatore CNR e coordinatore del Gruppo di interesse speciale sulla Nutrizione della SIRU – Una dieta personalizzata, antinfiammatoria, ricca di micronutrienti, acidi grassi essenziali e povera di zuccheri e alimenti proinfiammatori è fondamentale per ottimizzare la salute ormonale e riproduttiva.”
Diversi studi indicano che la qualità della dieta pre-concezionale, inclusa l’aderenza al modello mediterraneo o l’adozione di regimi alimentari antinfiammatori, può migliorare i tassi di impianto e di gravidanza clinica nelle donne sottoposte a PMA. In particolare, un adeguato apporto di vitamine del gruppo B, vitamina D, acidi grassi omega-3 e antiossidanti gioca un ruolo chiave nella maturazione ovocitaria e nella salute endometriale. Parallelamente, è ormai accertato che sovrappeso, obesità e diete ad alto carico glicemico riducono la fertilità, anche attraverso meccanismi autoimmunitari e ormonali.
Uno studio osservazionale ha mostrato che un’elevata aderenza alla dieta mediterranea aumenta del 40% le probabilità di gravidanza dopo fecondazione in vitro. Un altro lavoro ha rilevato che una dieta di alta qualità seguita nei sei mesi precedenti il trattamento può triplicare le probabilità di gravidanza a termine nelle donne sotto i 35 anni. È stato inoltre osservato che l’assunzione di cereali integrali migliora lo spessore e la ricettività endometriale, probabilmente grazie all’azione combinata di antiossidanti, lignani e regolatori del metabolismo insulinico.
Un approccio nutrizionale sempre più studiato in PMA è la dieta chetogenica, in particolare nelle pazienti con PCOS, insulino-resistenza o obesità. La drastica riduzione dei carboidrati e il prevalere dei grassi buoni consentono una rapida perdita di peso, migliorano la sensibilità insulinica, abbassano il testosterone libero e favoriscono l’ovulazione. L’instaurarsi della chetosi, infatti, migliora il rapporto LH/FSH e la qualità ovocitaria, promuove l’aumento dell’IGF-1 e l’attività del PAI-1, migliorando così le possibilità di impianto.
Dati clinici indicano che donne obese che hanno seguito una dieta low-carb per 12 settimane prima della PMA hanno ottenuto un tasso di gravidanza del 48% rispetto al 14% del gruppo di controllo, con un aumento dei nati vivi (44% vs 14%). La dieta chetogenica si è rivelata particolarmente utile anche nei casi con disturbi immunitari e alterazioni coagulative, migliorando gli esiti anche in pazienti considerate “poor responder”.
“L’approccio nutrizionale rappresenta una leva terapeutica fondamentale e personalizzabile, capace di agire in sinergia con i trattamenti ormonali e immunomodulanti – ha concluso il Dottor Antonino Guglielmino, ginecologo fondatore della SIRU – L’integrazione della nutrizione nei protocolli pre-concezionali e PMA non dovrebbe più essere considerata un’opzione, ma una parte integrante del percorso di cura, soprattutto nei casi di infertilità idiopatica, autoimmunità e fallimenti ripetuti. È tempo che la medicina della riproduzione riconosca pienamente il valore strategico della dieta come parte della medicina preventiva e predittiva.”