SCUOLA: Dalle piazze romane coro di no contro Riforma e Legge di Stabilità che proletarizzano il personale

A distanza di sei mesi, il popolo della scuola è tornato in piazza, nel giorno dello sciopero generale: a Roma, davanti al Miur e poi dinanzi al Parlamento, oltre 6mila manifestanti, docenti e Ata, e studenti, alcuni dei quali anche con le famiglie, hanno partecipato alla giornata di mobilitazione voluta dall’Anief e dai sindacati di base contro l’approvazione in estate della riforma della “Cattiva Scuola”, la Legge di riforma 107/2015, e per dire no all’ennesima Legge di Stabilità, già approvata dal Consiglio dei Ministri, che toglie all’istruzione pubblica centinaia di milioni di euro e non sana i tagli fatti con il machete negli anni passati, i cui emendamenti sono stati presi in carico della commissioni parlamentari di competenza nel proprio nel pomeriggio di oggi.

“Questa giornata di mobilitazione è la prima risposta della scuola Governo – ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief, parlando ai tanti manifestanti scesi in piazza oggi prima davanti al Miur e poi al Parlamento – contro gli ultimi provvedimenti vessatori del Governo Renzi contro la scuola. Perché, nonostante le 49mila assunzioni di questi giorni e le 46mila precedenti, che erano un atto imposto dalla Commissione Europea e conseguente all’azione del sindacato, oggi docenti e Ata stanno paradossalmente perdendo sempre più diritti. Per questo siamo scesi in piazza, per chiedere quel rispetto professionale negato da chi ci governa e continua a considerare l’istruzione pubblica prima di tutto una spesa da abbattere. Perché non esistono supplenti di serie A e B, come invece vorrebbe l’Esecutivo, che ha abbandonato al loro destino oltre 100mila docenti abilitati magistrali e dopo il 2011. Come non esiste, altro ‘regalino’ della Buona Scuola, che un docente venga immesso in ruolo su una classe di concorso diversa dalla sua senza avere alcuna spiegazione”.

Il presidente dell’Anief ha poi ricordato che lo stesso rispetto viene negato agli alunni, “perchè dopo tante promesse, il mondo studentesco è preoccupato da questa confusa introduzione dell’alternanza scuola-lavoro: siamo stati i primi a dire sì al modello di formazione sul ‘campo’, avviato con successo in tutti i paesi moderni. Ma senza regole chiare, che tutelino i nostri studenti, non si va da nessuna parte. Allo stesso modo, tutto il mondo della scuola, famiglie comprese, è preoccupato per la trasformazione sempre più netta degli istituti in una sorta di aziende. Con il preside manager che concentra potere e responsabilità eccessive a sé e i privati che entrano sempre più massicciamente nelle scuole, sconfessando la mission della scuola pubblica avulsa da qualsiasi condizionamento e pressioni esterne”.

“È poi sintomatico – dice ancora Pacifico – che oggi alcune scuole siano rimaste chiuse. Confermando che con questi organici, ridotti all’osso dalla soppressione di 200mila posti a partire dal 2008, basta che si assentino appena uno o due collaboratori scolastici per metterle in ginocchio. Perché, per effetto di una spending review ottusa, che opera tagli ragionieristici senza considerarne gli effetti, il persone Ata che si è assenta oggi non è più sostituibile per la prima settimana: il dirigente scolastico è infatti impossibilitato a chiamare il supplente e sorveglianza, pulizia, ma anche apertura e chiusura dei plessi scolastici, vengono messi in seria crisi. Così, se questo provvedimento, come diversi altri, non dovesse essere soppresso nella prossima Legge di Stabilità, vivremo un anno scolastico all’insegna del disagio. Anche la didattica subirà delle conseguenze negative, persino gli alunni più piccoli, di infanzia e primaria, perché il divieto di sottoscrizione delle supplenze è esteso al primo giorno di assenza di tutti i docenti”.

Tornando al personale Ata, c’è poi da rimarcare che questa categoria nella riforma approvata a luglio, è stata completamente dimenticata per l’accesso ai fondi del merito e per le assunzioni. Persino il mero turn over, con più di 6mila pensionamenti che andavano coperti con nuovi amministrativi, tecnici e ausiliari, è stato congelato, per destinare quei posti al personale perdente posto delle province.

“Tra gli scontenti ci sono addirittura i 95mila docenti assunti col piano straordinario della riforma, perché a differenza degli immessi in ruolo sino al 2011, potranno accedere al primo scatto stipendiale non più al terzo anno, ma al nono di anzianità. In tanti, poi, sono stati collocati attraverso un algoritmo sbagliato e secretato, sia nella fase B che nell’ultima, la C, in via di definizione. Non a caso, il nostro sindacato ha predisposto una richiesta di accesso agli atti. Non esulta nemmeno il personale docente di ruolo. Che d’ora in poi potrà accedere ad merito discrezionale, legato persino a quello dei propri studenti; come se il successo formativo si possa misurare solo sulla base dei voti. Su questi aspetti serviva, invece, un ampio e articolato confronto. Lo stesso che è mancato per le nuove valutazioni degli alunni, per i quali sarebbe stato necessario coinvolgere esperti decimologi”.

Il personale scolastico, infine, è fortemente preoccupato per l’inerzia del Governo rispetto agli stipendi: un docente italiano percepisce quasi metà rispetto al collega tedesco, malgrado le ore d’insegnamento, tabelle alla mano, settimanale siano persino superiori. Con la beffa che sempre i docenti tedeschi possono accedere alla pensione dopo 27 anni di servizio. Mentre i nostri, grazie alla riforma Fornero lasceranno la cattedra, per accedere ad assegno di quiescenza sempre più mini, alle soglie dei 70 anni. E tutto ciò paralizzerà pure il turn over, non permettendo quello svecchiamento indispensabile per abbassare l’età media del nostro corpo insegnante, oggi maglia nera dell’area Ocse. E che dire dei nuovi prossimi assunti, pagati nei primi anni 400 euro al mese, meno di un apprendista, dopo essersi laureati, abilitati e vinto in concorso pubblico? Con queste prospettive – conclude Pacifico – i nuovi insegnanti stanno diventano il sottoproletariato del lavoro italiano: per questo diciamo basta. Ma non solo oggi: se non si volta pagina, la nostra protesta continuerà”.