SCUOLA – Sentenza della Curia europea: ai precari vanno concessi gli scatti di anzianità

Ancora una sentenza della curia europea che dà ragione al personale precario richiedente gli scatti automatici di anzianità professionale, esattamente come sono previsti da contratto per il personale di ruolo. Stavolta a presentare domanda di pronuncia pregiudiziale alla terza sezione della Corte europea è stata una dipendente del Consiglio di Stato spagnolo, riguardo “al rifiuto di quest’ultimo di concederle maggiorazioni corrispondenti a scatti triennali di anzianità, stante la sua qualità particolare di personale «eventual» ai sensi del diritto spagnolo (in prosieguo: il «personale reclutato occasionalmente»)”, riporta la sentenza emessa il 9 luglio scorso.

Il caso esaminato riguarda una dipendente, appunto spagnole, che ha prestato servizio, dal 1° marzo 1996, presso il Consejo de Estado con la qualifica di personale reclutato occasionalmente, esercitando la funzione di capo della segreteria di un Jefe de la Secretaría del Consejero Permanente (consigliere permanente). Nel gennaio 2012 la donna ha presentato al Consejo de Estado una domanda diretta perché le fosse riconosciuto sia il diritto a percepire le maggiorazioni corrispondenti agli scatti triennali di anzianità per i servizi prestati presso svariate amministrazioni dal 1980, sia che le fosse versato l’importo ad esse corrispondente per gli ultimi quattro anni. La domanda, tuttavia, venne respinta con decisione del Presidente del Consejo de Estado del 24 luglio 2012.

La ricorrente ha quindi proposto, dinanzi al giudice del rinvio, un ricorso diretto all’annullamento della menzionata decisione, adducendo che la stessa non sarebbe conforme al diritto UE e, segnatamente, alla clausola 4 dell’accordo quadro. Ma il giudice nazionale, le ha ancora fa presente che la legge spagnola 7/2007 non prevede l’attribuzione delle maggiorazioni corrispondenti agli scatti d’anzianità “al personale reclutato occasionalmente”.

Da qui il ricorso alla curia europea. La quale ha preso come riferimento normativo, attorno a cui inquadrare la questione giudiziaria, la direttiva 1999/70. Ad iniziare dall’articolo 1 che ha “lo scopo di «attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)». In base alla clausola 1 dell’accordo quadro – spiega la Corte UE – l’oggetto di quest’ultimo è: migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato»”.

Sempre la Corte di Giustizia europea rammenta che la clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, prevede che questo «si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro»”. Ed è in questo contesto che può essere annoverato il rapporto di lavoro del dipendente spagnolo. Come di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione spagnola ed anche europea.

Ma è probabilmente la clausola 4 dello stesso accordo a rendere inoppugnabile la decisione dei giudici sovranazionali: si tratta del «Principio di non discriminazione», il quale prevede che «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

È stato poi tenuto conto dai giudici che «le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali». E, di conseguenza, che «i criteri del periodi di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».

Premesso ciò, sempre nella sentenza emessa per il caso della dipendente statale spagnola, si cita anche la clausola 5 che ha come origine la già menzionata direttiva 1999/70: quella riguardante, nello specifico, «Misure di prevenzione degli abusi». A tal fine, ricorda sempre il giudice, «gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti». Pertanto, dice sempre la CGUE, «gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: devono essere considerati “successivi; devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

In conclusione, la terza sezione della curia europea ha stabilito che la tutela del personale precario previsto dalla “direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999” e successive clausule, in particolare la “4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, la quale esclude, prescindendo da qualsiasi giustificazione per ragioni oggettive, il personale reclutato occasionalmente dal diritto di percepire una maggiorazione corrispondente allo scatto triennale di anzianità accordata, segnatamente, ai dipendenti di ruolo, quando, relativamente alla percezione della maggiorazione di cui trattasi, le due summenzionate categorie di lavoratori si trovano in situazioni comparabili, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.

“Per noi dell’Anief – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal – questa sentenza è l’ennesima conferma di quanto la curia europea ha detto e ribadito ogni volta che è stata chiamata in causa su questo genere di ricorsi, a tutela del principio di non discriminazione, formatosi attorno alle sentenze relative alla direttiva 70/99. La presa di posizione dei giudici, tra l’altro, ha cominciato a prendere corpo anche a livello nazionale, dove proprio nei giorni scorsi è stato accolto il primo ricorso su ricostruzione di carriera di tutto il periodo pre-ruolo: il tribunale di Torino ha assegnato, di conseguenza, 20mila euro di arretrati ad un precario, altrimenti ingiustamente sottratti qualora fosse stata applicata la normativa nazionale”.

“Alla luce di tutto questo – ha proseguito Pacifico – il sindacato conferma l’intenzione di impugnare tutti i decreti di ricostruzione di carriera emessi negli ultimi anni in contrasto con la normativa comunitaria. E se anche dal 2013 non saranno considerati più validi gli anni di progressione di carriera, comunque, otterremo, risarcimenti adeguati per il pregresso che avranno effetti anche ai fini contributivi su pensioni e TFR. Quindi, ricorreremo contro il CCNL del 4 agosto 2011 che ha eliminato il primo gradino stipendiale (fascia 0-2) per gli assunti da quell’anno in poi”.

Per Anief sono oltre mezzo milione i lavoratori danneggiati in Italia da un’interpretazione anacronistica del precariato. In particolare, nella scuola, sono la maggior parte dei 300mila assunti a partire dal 1999 (di cui100 mila dal 2011 senza primo gradino stipendiale) e i futuri 100mila che saranno assunti dal 2015, considerato che, secondo la relazione tecnica alla riforma ‘La Buona scuola’, più del 65% ha maturato da precario un’anzianità di servizio pari a 0-8 anni e più del 30% pari a 9-15 anni. Se si considera soltanto quest’ultima categoria, è evidente come sulla pelle dei lavoratori lo Stato abbia risparmiato più di 2,5 miliardi negli ultimi anni, senza prendere in considerazione la rideterminazione delle ricostruzioni di carriera per la prima categoria. Pertanto, può ricorrere tutto il personale della scuola neo-immesso in ruolo in Italia dal 2002/03, con più di quattro di servizio pre-ruolo, con effetti di rideterminazione dei gradini stipendiali per tutto il decennio successivo fino al blocco del 2012/3, e permanenti fino a fine carriera.