DIRIGENZA PUBBLICA, NON PRIVATA!

di Pietro Paolo Boiano

Le nuove norme in materia di lavoro, di recente varate, hanno prodotto non poche sollevazioni la cui eco ancora non si è spenta. Il dissenso di maggior peso riguarda la soppressione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori che si traduce nella perdita di un diritto, secondo i detrattori, mentre il Governo difende la nuova legge, assicurando che il mondo del lavoro ne guadagnerà in termini di stabilità e di estensione di diritti ai tanti lavoratori che attualmente ne sono privi,o privati. Gli effetti delle leggi si misurano nel tempo, e quindi si resta in attesa di verificare quale sarà l’impatto che avranno le nuove norme nel settore privato che ne è destinatario. Il percorso riformatore intrapreso dal Governo dovrà però riguardare anche i pubblici dipendenti,come annuncia il ministro della F.P. il cui orientamento sarebbe di rivedere l’attuale disciplina del rapporto di lavoro nella P.A. Non sarà semplice addentrarsi nel composito comparto del settore pubblico e il percorso si preannuncia assai complicato se fosse confermata l’idea che la P.A. possa avvalersi anche di prestazioni esterne in ambito dirigenziale.
Giova qui ripercorrere il complesso contenzioso, tuttora pendente, causato dall’affidamento di incarichi dirigenziali giudicati "contra legem" dalla Magistratura Contabile e da quella amministrativa che per altri versi ha rimesso la questione dinanzi alla Corte Costituzionale. Correva l’anno 2001 quando il dlgs. 165 stabiliva che potessero essere conferiti incarichi dirigenziali esterni, nella misura del 10% della dotazione organica dei dirigenti di 1^fascia e dell’8% di 2^fascia, per non meno di tre e non più di cinque anni, previa verifica della sussistenza di vacanze nell’organico e con l’obbligo che la scelta avvenga tra soggetti di formazione culturale universitaria e post-universitaria e in possesso di esperienza quinquennale in funzioni dirigenziali. Subito la Corte dei Conti avvertì che non basta una motivazione adeguata ma è sempre dovuta la verifica della sussistenza delle risorse umane interne e solo in presenza di documentato esito infruttuoso è possibile procedere alla assunzione di dirigenti esterni. Nessuno se ne dette per inteso, ma il TAR Lazio in prime cure, e poi il Consiglio di Stato hanno annullato tutte le nomine ritenute arbitrarie ed in contrasto con norme cogenti. L’ultima chicca l’ha fornita il Governo Monti che ha bloccato il malvezzo, ma ha fatto salve le nomine frattanto avvenute, provocando così la rimessione degli atti alla Consulta da parte del Consiglio di Stato. In questo movimentato scenario si affaccia il Decreto del ministro della F.P.ora in carica col quale si triplicano le soglie del dlgs 165/2001, sia pure nei soli confronti degli Enti Locali.
Ora, come se non bastasse quanto già accaduto, e quanto può ancora accadere, sembra che si coltivi l’idea di operare in continuità del passato, magari estendendo al settore pubblico le regole afferenti il lavoro privato. L’idea può non essere peregrina, ma prima bisogna sgombrare il campo dal sospetto di un sotteso machiavellismo che miri a far rientrare dalla finestra ciò che Corte dei Conti e giustizia amministrativa hanno messo alla porta. In altri termini può prevedersi che per comportamenti amministrativi anomali,o comunque deficitari, l’azione punitiva della P.A. possa essere spinta fino alle estreme conseguenze, ma non può accadere che l’accesso alla dirigenza pubblica avvenga col metodo dell’"intuitu personae" che sarebbe in aperto contrasto con il dettato costituzionale (art.97), prima ancora che con la normativa ordinaria. Se poi si vuol dar vita ad una rivoluzione copernicana che miri a rendere la dirigenza pubblica un eccellente apparato manageriale, allora è ben altro ciò che serve. Il concorso pubblico non conferisce qualità da manager e tali non si diventa per unzione e non certo in condizioni di lavoro spesso approssimative, talora addirittura precarie. La dirigenza pubblica non manca di menti fertili sotto il profilo organizzativo e gestionale e dispone pure di elementi di primo piano sotto il profilo tecnico-giuridico. Ciò che serve sono gli strumenti di lavoro in termini di risorse economiche, con particolare riguardo a un migliore assetto logistico. La Scuola Centrale Tributaria e la Scuola Superiore della P.A. devono essere palestre sempre aperte alla formazione e all’aggiornamento della classe dirigenziale che non può essere lasciata sola sotto il peso di incalzanti difficoltà operative ed esposta pure a responsabilità penali, come può accadere in caso di inosservanza delle le norme in materia di sicurezza sul lavoro, non per negligenza, ma per mancanza di risorse economiche. In definitiva la P.A. deve fare sul serio le cose serie, senza inventare soluzioni che già sulla carta appaiono improbabili e si rivelerebbero inutili se attuate. Basta quindi col mettere toppe ad un abito ormai liso dal tempo e da costumi difettosi. Serve il vestito nuovo nel presupposto però imprescindibile che la P.A. può anche adottare indirizzi mutuabili dalla managerialità privata,ma non potrà mai sottrarsi al rispetto pieno delle norme istituzionali e costituzionali dello Stato di diritto.