Sentenza C 213/13, Impresa Pizzarotti & C. SpA/ Comune di Bari e.a.

La domanda verte sull’interpretazione della direttiva 2004/18/CE, relativa agli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nonché sulla portata del principio dell’intangibilità del giudicato in una situazione contrastante con il diritto dell’Unione.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Impresa Pizzarotti & C. SpA, da un lato, e il Comune di Bari, la Giunta comunale di Bari e il Consiglio comunale di Bari, dall’altro, a seguito della pubblicazione di un bando di ricerca di mercato al fine di dotare l’amministrazione giudiziaria italiana di una nuova sede unica in cui accorpare tutti gli uffici giudiziari di Bari.
Nel 2003 il Comune di Bari pubblicava nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un bando di «ricerca di mercato» al fine di realizzare, nel più breve tempo possibile, una nuova, idonea e adeguata sede unica in cui accorpare tutti gli uffici giudiziari di Bari. Questo richiedeva che gli offerenti si impegnassero ad avviare i lavori di costruzione entro il 31 dicembre 2003. Esso indicava che le risorse pubbliche disponibili ammontavano a EUR 43,5 milioni, cui occorreva aggiungere EUR 3 milioni corrispondenti all’importo dei canoni annuali sostenuti dal Comune di Bari per la locazione degli immobili sede degli uffici giudiziari interessati. Il medesimo bando era accompagnato da un quadro ufficiale ed esaustivo delle esigenze strutturali, funzionali ed organizzative connesse alla cittadella giudiziaria, predisposto dalla Corte d’appello di Bari.
Fra le quattro proposte pervenute, nel dicembre 2003, il Comune di Bari selezionava quella della Pizzarotti: una parte dell’opera costruita sarebbe stata venduta al Comune di Bari per la somma di EUR 43 milioni, mentre la parte restante sarebbe stata messa a sua disposizione in locazione dietro un canone annuale di EUR 3 milioni.
Nel febbraio 2004 il Ministero della Giustizia comunicava però che le risorse pubbliche disponibili erano ridotte a EUR 18,5 milioni. Tuttavia, nel settembre 2004 il finanziamento pubblico veniva interamente soppresso. La Pizzarotti presentava indi una seconda proposta, nel senso di realizzare la parte dell’opera destinata alla locazione. A fronte dell’inerzia dell’amministrazione, il Consiglio di Stato, nel 2007, stabiliva che il Comune di Bari doveva concludere il procedimento.
Nel frattempo, adito ai fini dell’esecuzione della sua sentenza del 2007, il Consiglio di Stato riconosceva, nel 2008, l’inottemperanza del Comune di Bari e ordinava a quest’ultimo di darvi piena e integrale esecuzione e nominava il prefetto di Bari, quale «commissario ad acta», della Pizzarotti.
Nel 2010, questi concludeva che il bando di ricerca di mercato dell’agosto 2003 non aveva avuto esito positivo e che la locazione di edifici da costruire a titolo privato era del tutto incongrua rispetto all’obiettivo perseguito.
Investito di un ricorso della Pizzarotti, il Consiglio di Stato, nel 2010, lo accoglieva.
Successivamente, il nuovo «commissario ad acta» nominato dal prefetto di Bari adottava una «variante urbanistica» al piano regolatore, che la Pizzarotti impugnava dinanzi al Consiglio di Stato per violazione del principio dell’intangibilità del giudicato.
In tale contesto, il giudice del rinvio domanda alla Corte di giustizia se un contratto di locazione di un immobile futuro sotto forma di un atto di impegno a locare detto bene equivalga, malgrado la presenza di alcuni elementi caratteristici del contratto di locazione, a un contratto d’appalto di lavori sottratto alla specifica ipotesi di esclusione (articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/18).
A) Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda innanzitutto che stabilire se un’operazione costituisca o meno un appalto pubblico di lavori, ai sensi della normativa dell’Unione, rientra nell’ambito del diritto dell’Unione. La qualificazione di «contratto di locazione» non è decisiva. Peraltro, quando un contratto contiene sia elementi propri di un appalto pubblico di lavori sia elementi propri di un altro tipo di appalto, occorre riferirsi al suo oggetto principale.
Nel momento in cui la Pizzarotti ha proposto al Comune di Bari la conclusione del contratto, la costruzione dell’opera non era ancora stata avviata. Pertanto l’oggetto principale del contratto consiste nella costruzione, quale necessario presupposto della futura locazione. Il quadro delle esigenze predisposto dalla Corte d’appello di Bari precisa le diverse caratteristiche tecniche e tecnologiche dell’opera e le esigenze specifiche e mette il Comune di Bari in condizione di esercitare un’influenza determinante sulla progettazione dell’opera. Ne consegue che il contratto ha per oggetto principale la realizzazione di un’opera che risponda a esigenze specifiche dell’amministrazione aggiudicatrice.
Certo, il progetto di «atto di impegno a locare» comporta altresì alcuni elementi caratteristici di un contratto di locazione («canone annuale» di EUR 3,5 milioni da pagare per i 18 anni di durata del contratto). Tale contropartita complessiva, del totale di EUR 63 milioni, sarebbe nettamente inferiore al costo totale stimato dell’opera, che ammonterebbe a circa EUR 330 milioni. Tuttavia, l’elemento determinante per la qualificazione del contratto è il suo oggetto principale, e non l’importo del corrispettivo dell’imprenditore o le modalità di pagamento dello stesso.
Si tratta quindi di un appalto pubblico di lavori anche quando comporti un impegno a locare l’opera.
B) Con la seconda questione il Consiglio di Stato domanda se possa ritenere inefficace il giudicato eventualmente formato da una sua decisione che abbia condotto a una situazione contrastante con la normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici di lavori.
La Corte ricorda che le modalità di attuazione del principio dell’intangibilità del giudicato rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, nel rispetto tuttavia dei principi di equivalenza e di effettività.
Una soluzione potrebbe consistere nell’ordinare la chiusura del procedimento d’indagine di mercato senza accogliere nessuna proposta, ciò che permetterebbe l’apertura di un nuovo procedimento, nel rispetto delle regole degli appalti pubblici di lavori.
Se, al contrario, la corretta applicazione di tale normativa sia un ostacolo, tenuto conto delle norme procedurali interne applicabili, per il giudicato costituito dalla sentenza del 2007, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne sul giudicato, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto.
Il diritto dell’Unione non esige, dunque, che, per tener conto dell’interpretazione di una sua disposizione offerta dalla Corte posteriormente alla decisione di un organo giurisdizionale avente autorità di cosa giudicata, quest’ultimo ritorni necessariamente su tale decisione.
Tuttavia, qualora le norme procedurali interne prevedano la possibilità per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato, per rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale, tale possibilità deve essere esercitata.
Per questi motivi, la Corte dichiara che un contratto che abbia per oggetto principale la realizzazione di un’opera secondo le esigenze formulate dall’amministrazione aggiudicatrice costituisce un appalto pubblico di lavori e non rientra, pertanto, nell’esclusione della direttiva 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, anche quando comporti un impegno a locare l’opera di cui trattasi.
Il giudice del rinvio, che abbia statuito in ultima istanza senza che prima fosse adita in via pregiudiziale la Corte di giustizia, deve o completare la cosa giudicata costituita dalla decisione che ha condotto a una situazione contrastante con la normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici o ritornare su tale decisione, per tener conto dell’interpretazione di tale normativa offerta successivamente dalla Corte medesima.