PRESTITI IN VALUTA ESTERA: consumatori devono poter valutare le conseguenze economiche

La direttiva sulle clausole contrattuali abusive prevede che i consumatori non siano vincolati dalle clausole abusive contenute in un contratto concluso con un professionista. Tuttavia, quanto alle clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto e la congruità tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, la direttiva permette agli Stati membri di prevedere nella legislazione nazionale di trasposizione che tali clausole siano escluse da una valutazione relativa al loro carattere abusivo, purché siano formulate in modo chiaro e comprensibile. La legislazione ungherese che traspone la direttiva prevede un’esclusione siffatta.
Il 29 maggio 2008 il sig. Kásler e la sig.ra Káslerné Rábai hanno concluso con una banca ungherese un contratto di mutuo ipotecario espresso in valuta estera. La banca ha accordato ai mutuatari un mutuo pari a HUF (fiorini ungheresi) 14 400 000 (circa EUR 46 867).
Il contratto stipulava che la fissazione in franchi svizzeri dell’importo del mutuo doveva essere effettuata secondo il corso di acquisto di tale divisa, applicato dalla banca alla data di erogazione dei fondi. In applicazione di tale clausola, l’importo del mutuo è stato fissato a CHF 94 240,84. Tuttavia, ai sensi del contratto, l’importo in fiorini ungheresi di ogni rata mensile da versare doveva essere determinato, il giorno precedente la data di esigibilità, in base al corso applicato dalla banca alla vendita del franco svizzero.
I coniugi Kásler hanno contestato dinanzi ai giudici ungheresi la clausola che consente alla banca di calcolare le rate mensili esigibili in base al corso di vendita del franco svizzero. Essi fanno valere la natura abusiva della clausola in parola, dal momento che prevede, ai fini del rimborso del prestito, l’applicazione di un corso diverso da quello utilizzato in occasione della messa a disposizione del medesimo.
La Kúria (Corte suprema di Ungheria), investita della controversia con un ricorso per cassazione, chiede alla Corte di giustizia se la clausola concernente i tassi di cambio applicabili ad un contratto di mutuo espresso in valuta estera concerna l’oggetto principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della prestazione. Essa intende anche stabilire se si possa ritenere che la clausola contestata sia stata redatta in maniera chiara e comprensibile, di modo che essa possa essere esclusa da una valutazione del suo carattere abusivo ai sensi della direttiva. Infine il giudice ungherese intende accertare se, nell’ipotesi in cui il contratto non possa sussistere in seguito alla rimozione di una clausola abusiva, il giudice nazionale sia autorizzato a modificarla o a integrarla. La Corte ricorda in primo luogo che il divieto di valutare il carattere abusivo delle clausole relative all’oggetto principale deve essere interpretato in maniera restrittiva e può essere applicato solo alle clausole che fissano le prestazioni essenziali del contratto. Spetta alla Kúria determinare se la clausola contestata costituisca un elemento essenziale del contratto concluso dai coniugi Kásler.
La Corte rileva peraltro che l’esame del carattere abusivo della clausola in questione non può essere escluso per il motivo che la suddetta clausola si riferirebbe alla congruità tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti, in cambio, dall’altro. Infatti tale clausola si limita a determinare, in vista del calcolo dei rimborsi, il corso di conversione tra il fiorino ungherese e il franco svizzero senza prevedere tuttavia la prestazione di un servizio di cambio fornito dal mutuante. Orbene, in assenza di una prestazione siffatta, l’onere finanziario risultante dalla differenza tra il corso di acquisto ed il corso di vendita, che deve essere sostenuto dal beneficiario del prestito, non può considerarsi come una remunerazione dovuta in contropartita di un servizio.
In secondo luogo, la Corte precisa che una clausola la quale definisce l’oggetto principale del contratto si sottrae alla valutazione del suo carattere abusivo solo se è stata redatta in modo chiaro e comprensibile. In proposito la Corte sottolinea che tale requisito non è limitato ad una chiarezza e ad una comprensibilità formali e meramente grammaticali. Al contrario, il contratto di mutuo deve esporre in modo trasparente il motivo e le modalità del meccanismo di conversione della valuta estera. Così, spetta alla Kúria stabilire se un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento potesse, sulla base della pubblicità e dell’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione del contratto di mutuo, non soltanto conoscere l’esistenza di una differenza tra il tasso di cambio di acquisto ed il tasso di cambio di vendita di una divisa estera, ma anche valutare gli effetti dell’applicazione di quest’ultimo per il calcolo dei rimborsi e per il costo totale del suo prestito.
Da ultimo la Corte rileva che, nell’ipotesi in cui la rimozione di una clausola abusiva rendesse il contratto, come nel caso di specie, ineseguibile, la direttiva non osta a che il giudice nazionale sostituisca la clausola censurata con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva. Infatti un approccio del genere permette di raggiungere l’obiettivo della direttiva, consistente in particolare nel ristabilire un equilibrio tra le parti pur mantenendo, nella misura del possibile, la validità del contratto nel suo insieme.
Se una sostituzione siffatta non fosse permessa e se il giudice fosse obbligato ad annullare il contratto, il carattere dissuasivo delle sanzione di nullità nonché l’obiettivo di tutela del consumatore rischierebbero di essere compromessi. Nella fattispecie un annullamento avrebbe per effetto di rendere esigibile l’integralità del residuo dovuto. Orbene, ciò può eccedere le capacità finanziarie del consumatore e, pertanto, penalizzare quest’ultimo piuttosto che il mutuante il quale, considerata la suddetta conseguenza, potrebbe non essere stimolato ad evitare l’inserimento di tali clausole nei suoi contratti.