GLI ITALIANI E IL LAVORO. UN EQUILIBRIO PRECARIO

Il panorama del mercato del lavoro manifesta uno stato di salute critico: i dati Istat relativi a occupazione e disoccupazione per il mese di ottobre 2013, in linea con l’andamento negativo generale del terzo trimestre, segnalano un tasso di occupazione pari al 55,5%, mentre quello inerente la disoccupazione si attesta al 12,5% e in aumento dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Il tutto corredato da una nutrita fetta di inattivi tra i 15 e i 64 anni, pari al 36,4%. Laddove il sistema rivela maggiormente le sue falle è proprio sul fronte della situazione giovanile, che non sembra poter raccogliere i frutti dello svecchiamento del sistema lavoro intrapreso negli anni Novanta: la disoccupazione dei 15-24enni supera il 40% (41,2%), dato che diventa ancor più significativo se si considera che, secondo i dai forniti da Datagiovani, dei sei milioni di giovani solo 650.000 si attivano alla ricerca effettiva di un lavoro. Questo permette all’Italia di conquistare il record dei Neet: i giovani che non studiano e non lavoro sono uno su cinque (il 21%). Il connubio lavoro-stress è un fenomeno familiare alla vita del lavoratore, interessando ben il 74,3% del campione in esame (qualche volta il 44,1%, spesso il 20,8%, sempre il 9,4%). Pur nella generale rilevanza del fenomeno, si registra un ridimensionamento dello stesso rispetto al quadro dipinto nel sondaggio presente nel Rapporto Italia 2013, quando alle opzioni “qualche volta”, “spesso” e “sempre” corrispondevano percentuali più alte: 59,5%, 21,9%, 10,6%. Sommando le frequenze “qualche volta”, “spesso” e sempre”, le situazioni stressanti sono più frequenti nelle fasce 25-34 anni (82,8%) e 45-64 (75%), ovvero rispettivamente coloro che sono nella fase iniziale della vita lavorativa e coloro che sono nella fase finale, seguiti dai 35-44enni (72,1%). Sotto il 70% si attestano le due fasce d’età ai due estremi anagrafici considerati. Il quadro che si evince indagando il fenomeno per stato civile descrive i separati/divorziati e gli sposati come le vittime che più frequentemente incorrono in casi stressanti: succede sempre infatti al 12,3% dei primi e all’11,2% dei secondi, laddove per le altre categorie le percentuali non arrivano al 10%. I separati/divorziati sono inoltre coloro che incorrono spesso in situazioni simili nel 27,7% dei casi, seguiti dai vedovi (25%) e dagli sposati (23,3%). La tipologia contrattuale vede i lavoratori a partita Iva come i soggetti che maggiormente risentono di forme di stress da lavoro con un’incidenza del 47,4% (sempre il 17,9% e spesso il 29,5%), confermando e superando il primato della rilevazione dello scorso anno, quando la quota si attestava al 41,1%. I lavoratori subordinati a tempo determinato, pur in una situazione di precarietà contrattuale, gestiscono meglio il fenomeno che tocca solo il 24,3% del campione (6,5% sempre e 17,8% spesso), valore che si aggira intorno al 30% per le restanti tipologie. Rispetto al parametro professionale, sono le posizioni di dirigente/direttivo/quadro, libero professionista/commerciante/lavoratore autonomo e operaio ad accusare più frequentemente lo stress: sommando le risposte “sempre” e “spesso” la percentuale per ognuna delle tre categorie si attesta intorno al 40%.
Tra i principali motivi di stress sul lavoro spiccano le scadenze e le pressioni sui tempi di consegna (52,1%), motivazioni che già nel sondaggio del 2013 raggiungevano il podio con il 59,5%. Seguono la mancanza di tempo da dedicare a se stessi e i carichi di lavoro, rispettivamente con il 48,7% e il 48,1%; le stesse voci ricorrevano anche nel 2013 con percentuali lievemente più alte (51,7% e 51,5%). Anche la difficoltà a conciliare lavoro e famiglia è un importante fattore di stress (42,5%). Oltre un lavoratore su tre (37,1%) è stressato dall’insicurezza del posto di lavoro e, con percentuale analoga (36,7%), dai rapporti con i superiori. Anche l’assenza di stimoli professionali può generare stress (36,4%). I fattori che invece creano meno disagio sono la scarsa copertura previdenziale e assicurativa (18,4%) e la scarsa tutela dei diritti del lavoratore (20,5%); la precarietà del contratto (24%), sebbene sia uno dei punti critici del mercato del lavoro, non rientra tra i primi fattori di stress. Il quadro che si delinea in base al tipo di contratto evidenzia innanzitutto le criticità proprie dei lavoratori con contratto atipico che soffrono la condizione di precarietà: il 75,6% vede infatti nell’insicurezza del posto di lavoro la maggiore causa di stress, seguita dalla precarietà del contratto (71,7%), situazione analoga a quanto emerso dal precedente sondaggio. L’insicurezza del posto di lavoro e la precarietà del contratto ricorrono come le principali cause di stress anche tra i lavoratori a tempo determinato, anche se con percentuali inferiori (55,1% e 50,7%). I lavoratori con partita Iva risentono maggiormente delle scadenze e pressioni sui tempi di consegna (70,9%), dei rapporti con clienti/fornitori (62,8%), della mancanza di tempo da dedicare a se stessi (58,1%) e dell’irregolarità dei pagamenti (57%). Coloro che godono di un contratto a tempo indeterminato soffrono i carichi di lavoro (57,4%), a cui seguono le scadenze (54,5%), la mancanza di tempo da dedicare a se stessi (50,3%) e i rapporti con i superiori (48,1%); rispetto alla rilevazione del 2013 la motivazione legata all’assenza di stimoli professionali tra i lavoratori a tempo indeterminato retrocede dalla posizione di primato tra le cause di stress con una percentuale del 57,6% per assestarsi al 41,3%, valore comunque più alto fra tutte le categorie di contratto prese in esame. Quando si affrontano tematiche lavorative, non è possibile prescindere dal tema, sempre più discusso, del mobbing, attività vessatoria nei confronti di un lavoratore atta nella maggior parte dei casi a determinarne l’autolicenziamento. Il 14,2%, dei lavoratori intervistati è stato vittima di mobbing. Le forme di violenza psicologica trovano terreno fertile soprattutto tra i lavoratori con un che contratto atipico (21,6%). Tuttavia, neppure coloro che godono di maggiori garanzie contrattuali, i lavoratori subordinati a tempo indeterminato, possono considerarsi esentati da tale pratica, facendone la seconda categoria più colpita (il 18,3%), seguiti dai contratti subordinati a tempo determinato (11,2%) e da quelli a partita Iva (il 9,5%). Il primato dei “mobbizzati” spetta alla classe operaia con il 23,7%, seguita con un divario di sei punti percentuali dagli insegnanti e dagli impiegati. Sopra al 10% anche le risposte dei dirigenti, direttivi e quadri che, nonostante la posizione ricoperta, risultano vulnerabili, seguiti dai liberi professionisti.