Italia in sofferenza ma stiamo sopravvivendo a crisi

Una società ”sciapa” quella italiana, privata della forza propulsiva della sua classe media sempre più deteriorata, e ostaggio del concetto della stabilità predicato, se non imposto, dalla classe dirigente come antidoto all’abisso. ”Ma l’abisso non arriva” e, grazie ad una ”solida” base di valori, gli italiani stanno riuscendo a ”non crollare” e ”sopravvivere” a questa crisi, ”e all’insieme degli ‘interventi rigorosi e pedagogici’ che tanto hanno accentuato la fatica del vivere quotidiano e la mancanza di speranza per il futuro”. E’ una fotografia in chiaro scuro quella che scatta il Censis nel suo ”Rapporto sulla situazione sociale nel paese – 2013”, presentato oggi a Roma. Da una parte, infatti, il rapporto evidenzia la ”scelta implicita e ambigua di ‘drammatizzare la crisi per gestire la crisi’ da parte della classe dirigente, che tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre”. Un mix, questo, che contribuisce a creare ”una condizione di incertezza senza prospettive di elite”. Eppure ”il crollo atteso da molti non c’e’ stato. Negli anni della crisi abbiamo avuto il dominio di un solo processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza”, rilevano i ricercatori. Secondo i quali, nel momento di maggiore difficolta’ ”abbiamo fatto tesoro di cio’ che restava nella cultura collettiva dei valori acquisiti nello sviluppo passato (lo ‘scheletro contadino’, l’imprenditorialita’ artigiana, l’internazionalizzazione su base mercantile), abbiamo fatto conto sulla capacita’ collettiva di riorientare i propri comportamenti (misura, sobrieta’, autocontrollo), abbiamo sviluppato la propensione a riposizionare gli interessi (nelle strategie aziendali come in quelle familiari)”. La contropartita di questa capacita’ a resistere e’ l’apparire sempre piu’ ”sciapi”, senza fermento, e ”malcontenti” a fronte di un ”inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali”. Secondo il Censis si e’, infatti, ”rotto il ‘grande lago della cetomedizzazione’, storico perno della agiatezza e della coesione sociale. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale”. Ed e’ in tale contesto che gli esperti individuano una crisi della societa’ civile la quale ”verosimilmente ha consumao il suo orgoglio in illusorie ambizioni di una superiorita’ morale e utilizzata come strumento politico”. Ma il Censis individua ”due grandi ambiti che consentirebbero l’apertura di nuovi spazi imprenditoriali e di nuove occasioni occupazionali: un processo di radicale revisione del welfare e l’economia digitale. Il filo rosso – aggiunge – che puo’ fare da nuovo motore dello sviluppo e’ la connettivita’ (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti coinvolti in questi processi”. Se, pero’, ”le istituzioni non possono fare connettivita’ perche’ sono autoreferenziali, avvitate su se stesse, e puo’ succedere che in una societa’ ‘sciaa’ l’unico fevore sia quello9 dell’antipolitica”, allora, secondo il Censis, ”la spinta alla connettivita’ sara’ in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva”. Questo perche’ ”L’Italia di oggi sara’ bella o brutta, a seconda degli occhiali con cui la si guarda, ma – valuta il Censis – resta una realta’ solida perche’ non e’ figlia di idee e di progetti, ma della collettiva partecipazione ai processi storici che l’hanno attraversata”.