AssoTutela: San Camillo, qual è la mission aziendale?

“Un grido d’allarme che non deve essere ignorato: il declino inarrestabile di quella che un tempo fu l’azienda ospedaliera più grande e più qualificata d’Europa non può più essere tollerato da una Regione che si dice attenta e desiderosa di risanare la sanità del Lazio”. Ė il commento del presidente di AssoTutela Michel Emi Maritato. “Il San Camillo – continua – sta a mano a mano perdendo la mission originaria per cui fu classificato, nel 1994, ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione. Sono svaniti i poli di eccellenza del nosocomio: il centro trapianti dirottato a Tor Vergata, la cardiochirurgia, polo di riferimento regionale per i trapianti, ferma in un interminabile restauro la cui lentezza è forse voluta, i ricoveri di medicina – reparto che un tempo accoglieva molti anziani fragili – tagliati in pochi anni da 70 a 40mila l’anno, e ancora, la chirurgia generale ridotta al minimo indispensabile, con il pronto soccorso che esplode e non riesce a filtrare i pazienti inviandoli tempestivamente a ricovero per carenza di posti letto. Insomma, un vero e proprio disastro gestionale, con il direttore generale intento a garantire tutt’altro tipo di assistenza: corsi di studio per badanti, mediazione culturale per gli stranieri, accoglienza di feriti in vari conflitti nel mondo. Attività del tutto ragguardevoli ma che non rientrano minimamente nella mission aziendale (Atto Aziendale, Titolo I, art. 1), che sarebbero un fiore all’occhiello per l’azienda qualora la stessa riuscisse a garantire un’assistenza ottimale rispetto alla richiesta delle prestazioni essenziali. Purtroppo, a tutt’oggi, l’ospedale è ridotto a un immenso poliambulatorio, aperto qualche ora la mattina, dal lunedì al sabato, con tempi di attesa inaccettabili e una qualità dell’assistenza che lascia molto a desiderare”.