
Scoppia la polemica dopo la pronuncia di ieri della Cassazione sull’affidamento di un bambino a una madre convivente con una donna. Mentre l’Arcigay la definisce una ”sentenza storica”, dall’altra i vescovi italiani ribattono definendola una pronuncia ”ambigua e pericolosa”, affermando che i giudici si riferiscono al caso specifico e ”non teorizzano in alcun modo la necessita’ di legiferare a favore dell’adozione da parte delle coppie omosessuali”.
I supremi giudici, presidente Maria Gabriella Luccioli, hanno sentenziato in merito respingendo il ricorso di un padre naturale che si era visto privare dell’affido condiviso del figlio per le violenze cui il bambino aveva assistito, e confermato che il piccolo debba essere allevato dalla mamma e dalla convivente di lei.
Una scelta, scrive oggi ‘Avvenire’, che ”si potrebbe sintetizzare, a favore del male minore e non una sentenza ideologica che ‘apre’ alla possibilita’ di adozione da parte delle coppie gay”. ”Del tutto fuori strada – prosegue Avvenire – quindi i commenti di chi ha subito colto l’occasione per gridare alla ‘modernita” e alla ‘lungimiranza’ dei supremi giudici”.
Il punto di vista della Cassazione sulla possibilita’ per una coppia omosessuale di crescere un figlio e’ contenuto nella sentenza numero 601, depositata ieri. Un immigrato musulmano si e’ rivolto al tribunale contestando la decisione della Corte di Appello di Brescia – la citta’ dove l’uomo risiede – del 26 luglio 2011 che aveva affidato in via esclusiva il minore alla sua ex compagna. L’immigrato faceva presente che dopo la fine della loro storia la sua ex era andata a vivere con una donna, un’assistente sociale della comunita’ per tossicodipendenti dove la madre del bambino conteso aveva trascorso un lungo periodo per disintossicarsi.
Secondo la difesa dell’uomo, il Tribunale di Brescia non avrebbe approfondito, come richiesto dal servizio sociale, se la famiglia in cui e’ stato inserito il minore, composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea sotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino. E ricordavano il ”diritto fondamentale del minore di essere educato secondo i principi educativi e religiosi di entrambi i genitori. Fatto questo che non poteva prescindere dal contesto religioso e culturale del padre, di religione musulmana”.
Ma la Cassazione, sottolinea Avvenire ”ha reso definitivo il verdetto, confermando l’affido esclusivo alla madre e spiegando, tra l’altro, che il pregiudizio per il bambino di essere cresciuto ed educato da due donne non e’ in re ipsa (cioe’ non vale di per se stesso) ma va provato”. ”Non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza – scrive la Cassazione – bensi’ il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si da’ per scontato cio’ che invece e’ da dimostrare, ossia la dannosita’ di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata”.
La Corte Suprema ha anche ricordato all’uomo che lui stesso si era allontanato dal figlio quando aveva appena dieci mesi ”sottraendosi – scrive la Cassazione nella sentenza – anche agli incontri protetti e assumendo, quindi, un comportamento non improntato a volonta’ di recupero delle funzioni genitoriali e poco coerente con la stessa richiesta di affidamento condiviso e di frequentazione libera del bambino”.
Secondo i supremi giudici, conclude Avvenire, ”la Corte d’Appello di Brescia ha correttamente e ampiamente motivato sulla ‘ostativita’ del comportamento dell’uomo all’affidamento congiunto”’.