Cresce il disagio di Pdl e Pd di fronte a alle questioni che, in diversi modi, agitano i vertici e la base dei due partiti. Da un lato c’è il Popolo della libertà che pensa all’azzeramento del partito, dall’altra c’è il Pd che cerca una via di uscita per non implodere al nome delle primarie. ‘Reset’ è la nuova parola d’ordine nel Pdl. E si vedrà se all’assemblea straordinaria, che verrà convocata per il 2 dicembre, il partito di Berlusconi saprà davvero azzerarsi per ripartire, se sarà in grado cioe’ di cambiar pelle, o se ‘leoni e sciacalli’ si metteranno a danzare insieme nella più classica iconografia del gattopardismo. ‘Reset’ è lo slogan attorno a cui Alfano – nei ‘giorni cupi’ seguiti allo scandalo laziale – ha costruito una proposta, presentata al Cavaliere. E Berlusconi l’ha fatta propria. Così si è avviata la macchina organizzativa – scrive Francesco Verderami sul CORRIERE – per un progetto in dieci punti che si compirà con la convention da indire tra due mesi. Sarà la direzione a ufficializzare l’evento, un vero e proprio congresso con poteri costitutivi.
Sara’ l’omega e l’alfa di cio’ che resta del Pdl e di cio’ che punta a essere il futuro ‘centrodestra italiano’. E’ difficile prevedere oggi se la ‘rifondazione’ ú come la definisce Alfano ú portera’ a una resurrezione politica. Ma se e’ vero che l’uomo del predellino non vuole rimanere sepolto sotto quelle stesse macerie su cui era salito da vincitore nel ’94, se e’ vero che vuole sfuggire alla nemesi e non vuole essere additato come un ‘professionista della politica’, se intende allontanare da se’ l’immagine di leader di un partito ridotto al gioco delle correnti e attraversato da faide di potere, allora non esistono scorciatoie. Per questi motivi, tra mille titubanze, ha dato il benestare all’operazione che dara’ origine a una profonda trasformazione del modello partito e insieme della struttura.
La riorganizzazione si portera’ appresso l’azzeramento degli organismi dirigenti, perche’ non basterebbe cambiare solo nome e simbolo, e perche’ nelle condizioni in cui versa il Pdl ú come ha avuto modo di spiegare il segretario ú ‘nessuno puo’ pensare di far resistenza. Si resiste se c’e’ qualcosa da conservare, qui invece c’e’ da ricostruire’. Percio’ bisogna ‘resettare’. Il nuovo inizio ricorderebbe per certi versi il vecchio inizio, quello di Forza Italia, un partito simile a quelli americani, leggero e al tempo stesso pronto ad agire in profondita’ sul territorio con l’approssimarsi delle campagne elettorali. Un partito capace magari di federare pezzi di societa’ civile, di chiamare a raccolta esponenti del mondo imprenditoriale come l’ex presidente di Confindustria D’Amato, che secondo il Cavaliere sarebbe ‘interessato’ al disegno.
Tocchera’ a Berlusconi tenere a battesimo il ‘centrodestra italiano’, anticipando l’appuntamento del Pdl con una kermesse in cui ú da one man band ú annuncera’ il progetto. Se quella sara’ l’occasione per sciogliere anche la riserva sulla sua candidatura, si vedra’. E’ certo che sara’ lui a premere il tasto del ‘reset’. I sondaggi d’altronde illustrano con chiarezza la situazione in cui versa il partito fondato dal Cavaliere. Il problema non e’ (soltanto) dettato dal fixing settimanale, con una forbice tra il 15% e il 19% dei consensi. A destare maggior preoccupazione e’ il progressivo restringimento del ‘bacino potenziale’ degli elettori, che in meno di un mese si e’ ridotto di tre punti, toccando il minimo storico del 21%.
Gli scandali incidono, non c’e’ dubbio, ma e’ l’inazione che sta portando alla consunzione. Le analisi demoscopiche raccontano come l’elettorato di centrodestra auspichi che Berlusconi non si tiri indietro, ma promuova contemporaneamente un processo di rinnovamento. Il fatto che Alfano sia davanti al Cavaliere nei sondaggi lo testimonia. Non e’ facile passar la mano tenendo la mano, ma e’ li’ lo snodo. Anche perche’ nell’altra meta’ campo e’ in atto un movimentismo che secondo i dirigenti del Pdl sta giovando ai Democratici. E’ vero che con le primarie rischiano di farsi male, ma l’azione di Bersani sulla sinistra e quella di Renzi sull’area di centro stanno ampliando lo spettro dei consensi potenziali, superiori oggi al 35%".
Anche il Pd non se la passa bene: "Il rischio e’ reale – scrive Stefano Folli sul SOLE 24 ORE -. Il Partito democratico si sta incartando intorno alle regole delle ‘primarie’, con il pericolo di trasformare un modello di democrazia interna in una spaccatura che potrebbe essere fatale. Si e’ arrivati al momento delle decisioni tardi e male, quasi controvoglia.
All’inizio Bersani ha avuto coraggio nell’accettare la sfida, senza nascondersi dietro lo statuto che identifica la figura del candidato premier con quella del segretario. Ma poi ci si e’ complicati la vita, man mano che cresceva l’inquietudine del gruppo dirigente messo sotto accusa dal sindaco di Firenze.
Ora, a poche ore dalla mega-assemblea dei democratici, si e’ alla ricerca del ‘magico punto di equilibrio’, come dice Enrico Letta. Quale equilibrio?
Ovviamente si tratta di fare in modo che il leader del centrosinistra sia scelto dagli elettori o simpatizzanti del centrosinistra: sotto questo aspetto un controllo e’ necessario come pure la pubblicita’ data ai nomi dei votanti, anche per un’esigenza di trasparenza. Ma l’idea di alzare un sistema di barriere volto a scoraggiare i cittadini dal recarsi ai ‘gazebo’, fino all’obbligo di registrarsi in precedenza in un ufficio separato dal luogo del voto, somiglia a un disastroso ‘boomerang’. Il gruppo dirigente, benche’ impaurito, non puo’ dare l’impressione di arroccarsi in un’estrema autodifesa contro il ‘barbaro alle porte’.
D’altra parte, la forza mediatica di Renzi ha coinciso fin qui con la sua capacita’ di raffigurarsi come uno spavaldo rinnovatore del Pd e della sinistra; se domani venisse percepito come uno che frantuma il partito per costruirsi una piattaforma personale, le cose cambierebbero. Certo, sarebbe un’ambizione legittima e la storia italiana e’ piena di scissioni. Ma equivarrebbe a un salto nel vuoto. E forse non a caso ieri sera il sindaco fiorentino ha offerto una disponibilita’ a trovare il punto di equilibrio sulle regole".
"C’e’ una logica, visto che Renzi ha saputo costruirsi un’immagine di riformatore della sinistra: un piccolo Tony Blair con il Pd al posto del ‘Labour’. E Blair la sua battaglia la fece sempre all’interno del partito laburista. Un Renzi fuori dal Pd che mette in piedi una sua lista destra/sinistra per il momento non e’ molto credibile.
Ne deriva che il buonsenso auspicato da Enrico Letta non dovrebbe essere impossibile. Le regole non potranno essere tanto asfissianti da tenere i cittadini alla larga dai ‘gazebo’ (salvo che si tratti di militanti di lungo corso).
Avendo deciso di attraversare il fiume, Bersani e i suoi avrebbero torto a tornare indietro a meta’ percorso. Anche perche’ il segretario del Pd sembra possedere la forza politica e organizzativa per prevalere nelle urne, soprattutto al secondo turno. A maggior ragione il suo interesse dovrebbe essere quello di sedurre una piu’ larga fetta di opinione pubblica, non di indispettirla. Il passaggio in ogni caso e’ stretto per i democratici. Del resto, chi accetta le primarie accetta tutte le incognite connesse. Poi si trattera’ di dimostrare che Renzi non ha l’esclusiva del rinnovamento. Non va sottovalutata, ad esempio, la scelta di candidare Nicola Zingaretti alla regione Lazio. Zingaretti ha tutte le caratteristiche del moderno esponente di una classe dirigente di centrosinistra.
E’ pragmatico e concreto. Renzi e Zingaretti: due modi diversi per leggere il riformismo di domani".
