SPENDING REVIEW : CONTINUA IL TIRO AL BERSAGLIO, PURTROPPO IL SOLITO!

La Gazzetta Ufficiale pubblica la legge n.135/2012, di conversione del DL 6.7.2012 n.95, che contiene norme per il contenimento della spesa pubblica. La torrida estate non ha fatto registrare il ”tutti al mare”, come consiglia un vecchio motivetto, già che in tanti sono rimasti a casa, con l’unico refrigerio loro consentito, e cioè la vasca da bagno. E proprio nel giorno di ferragosto, un giorno qualunque per tanti malcapitati, è arrivata la definitiva consacrazione della spending review, mentre gli”Augusti” noti e quelli sconosciuti trascorrevano in letizia la vacanza che prende il nome appunto dal famoso imperatore romano Augusto. Divagazione storica a parte, il commento che può farsi a margine del provvedimento è che esso non si discosta dai precedenti, ovvero nulla di nulla che potesse almeno far sorridere le categorie più deboli. Sembra anzi che vi sia stato l’uso malizioso di una figura retorica, l’eufemismo, laddove spending review sta per censimento dei poveri. Modi di dire per non fare, come insegna il vecchio manuale politico di casa nostra. Infatti non si vuol fare una dura lotta all’evasione fiscale, che costa allo Stato miliardi di euro, e magari ci si bea di andare a contare gli ombrelloni sulle spiagge o gli scontrini fiscali nei bar e nelle pizzerie. Sembrava cosa fatta il ridimensionamento degli appannaggi di cui godono i superburocrati, ma tra il dire e il fare non c’è stato il mare, questa volta l’impedimento è venuto da una fortuita dimenticanza, forse causata da improvviso mancamento di neuroni, per cui il decreto governativo invece di essere inviato al Consiglio di Stato è rimasto nel cassetto e ora attende solo di finire nel cestino della carta straccia. A pensar male si fa peccato ha sempre detto il ”divo Giulio”, aggiungendo che spesso però ci si azzecca!  Il Governo Monti non è nato sotto la stella della longevità,ed il fine corsa, salvo imprevisti, è ormai vicino. Il che non vuol dire però che nel tempo che resta qualcosa non si possa ancora fare, quanto meno dare un segnale rassicurante a coloro, e sono tanti, chiamati a far da cirenei, unici cioè a dover sopportare il peso della crisi. Si fa un gran parlare del buon recupero dell’evasione fiscale, ma evidentemente ci si accorge che il raccolto è magro, tant’è che lo stesso premier avverte che ridurre la pressione fiscale è operazione al momento non fattibile. Ci si dovrebbe però render conto che i “tartassati” da soli non possono risanare la finanza pubblica, perché la loro capacità contributiva è ormai pari allo zero,mentre dall’altra parte gli “intoccabili” continuano a sguazzare alla maniera del re Creso, quando non si concedono anche il lusso, che è poi il canceroso malvezzo, di trasformare in oro ciò che toccano, emuli del mitico Mida. Non si vuole stroncare l’evasione fiscale, non si vuole reprimere la corruzione, anzi se ne ostacola impudentemente qualunque iniziativa legislativa, e allora è tempo che il Capo del Governo esca allo scoperto e dica alla gente la verità su tutto e su tutti. Non ce ne sarebbe bisogno perché la gente perbene sa e soffre, ma dimostra di avere ancora il senso dello Stato e della democrazia. Ciò non toglie però che il premier ne ha l’obbligo quanto meno morale. Un punto è certamente fuori discussione ed è che non serve la sapienza cattedratica per capire che non esistono Stati il cui erario è sostenuto solo dalla contribuzione dei meno abbienti e se mai da quella arbitraria dei grandi capitalisti. Se ne è reso conto anche il premier britannico che sembra orientato a istituire una patrimoniale.
Qui da noi questa parola è innominabile. Il prelievo forzoso sui grandi patrimoni è Indegno di uno Stato di diritto, sostengono quelli che vi si oppongono. Peccato che poi siano gli stessi che proprio a dispetto dello Stato di diritto nicchiano quando si parla di evasori e di corrotti. E qui la cosa appare ridicola se non fosse tragicamente indecente che lo Stato premia i suoi nemici e si fa invece patrigno con i suoi figli disciplinati e affettuosi. Naturalmente il gioco è a perdere e il perdente è lo Stato. Ma quando perde lo Stato hanno perso tutti. Le forze politiche che sostengono il Governo lo fanno per tener lontano il più possibile le elezioni, ma al tempo stesso non gli risparmiano critiche quando non anche minacce talora anche esplicite; l’opposizione fa quello che può, la stampa, quale che sia il colore politico che la connota, picchia sodo giorno dopo giorno, cavalcando la protesta popolare. Insomma ognuno tira l’acqua al proprio mulino.
Il premier legge e ascolta, ma parla poco, assorbito com’è dallo studio di provvedimenti che non turbino le forze politiche che lo sostengono. Il risultato sono le tasse sulle acque gasate, più accise su sigarette e benzina e chissà che altro è in serbo nell’agenda di governo.
Il buon senso, e soprattutto le indiscutibili qualità del nostro 1° ministro, portano a ritenere che egli sia perfettamente consapevole che il Paese non può uscire dalle secche raccogliendo solo le poche briciole che sono sul campo, oppure sopprimendo qualche Ufficio giudiziario, poche province e qualche Agenzia fiscale. Al riguardo l’accorpamento dell’Agenzia del Territorio con la consorella delle Entrate è un’operazione inutile agli effetti del risparmio e rischiosa sotto il profilo funzionale di veri e propri megaorganismi amministrativi. L’A.F. non dispone di strutture idonee, non ha mai allogato i propri uffici in edifici demaniali e tuttora è elevatissimo il costo degli affitti in tutto il territorio nazionale. Ma a possibili risparmi su tale versante nessuno ha mai voluto pensare. Tanto per dire che far confluire l’Agenzia del Territorio in quella delle Entrate sarebbe un’operazione disastrosa sotto il profilo logistico, ma da essa nascerebbero altre criticità, prima fra tutte i rapporti assai spesso turbolenti che sono inevitabili tra culture diverse.
L’accorpamento che ora si vorrebbe realizzare minerebbe inoltre l’azione incisiva che stanno svolgendo le Agenzie del Territorio con risultati eccellenti, come prova la scoperta di oltre un milione di immobili assolutamente sconosciuti al fisco, con un bilancio in termini di gettito pari a circa 470 milioni di euro. Questo dato basterebbe da solo ad avvertire quanto lavoro c’è ancora da fare se vogliamo che l’Italia diventi un Paese normale. Ma purtroppo esistono altri clamorosi abusi ed è la massiccia evasione che si annida nel mondo imprenditoriale, in quello professionale e nel settore del commercio. Da qualche parte si invoca che in tali ambiti si introduca il conflitto di interesse tra il cedente e l’utilizzatore finale di beni e servizi,a questi dando la possibilità di dedurre almeno in parte i relativi costi. Ma una tale soluzione viene bollata come una volgare bestemmia. E allora, se l’evasione fiscale viene contrastata all’acqua di rose, se si vuol far credere che la corruzione è un fenomeno appena fisiologico, per cui sarebbe eccessivo il ricorso ad una legislazione stringente, se l’illegalità e il quotidiano continuano a essere un unicum perverso, non ci si venga poi a dire che possiamo rimetterci in sesto con i provvedimenti fatti e con altri simili eventualmente a farsi. Altro problema spinoso è l’abrogazione dell’istituto della vicedirigenza disposta dal Governo prima per le Agenzie Fiscali successivamente per tutti. Necessita a questo punto fare il punto della situazione, non sulla manovra di revisione della spesa pubblica nel suo complesso, ma solo per la parte che interessa il personale direttivo della P.A. La legge 145 del 15 luglio 2002 (legge Frattini),di riforma della dirigenza pubblica, aggiunse al dlgs 30.3.2001 n.165 l’art.17/bis introducendo,quindi, nell’ordinamento amministrativo l’area della vicedirigenza.
La norma aveva lo scopo di rendere giustizia nei confronti dei funzionari della ex carriera direttiva che quotidianamente spendono esperienza e professionalità al servizio dello Stato. E’trascorso un decennio e quella norma è stata completamente ignorata in quanto al rango dirigenziale, in assenza di vicedirigenti, è pervenuto personale designato con criteri di eccessiva discrezionalità e privi di qualsivoglia trasparenza e quindi le relative nomine sono state dichiarate nulle dal Tar del Lazio perché in netta violazione del quadro normativo di riferimento. Legittimo e comprensibile il persistente stato di agitazione del personale interessato consapevole di una volontà politico-amministrativa che evidentemente vuole continuare con le metodologie adoperate fino a oggi. In conclusione il Governo mentre elimina la vicedirigenza autorizza le Agenzie fiscali ad attivare 380 posizioni organizzative non dirigenziali con la consueta discrezionalità. Ma c’è di più il Tar del Lazio con una sentenza emessa in data 16.5.2012 n.4391 ha nominato commissario ad acta il capo pro tempore del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri assegnandogli termine di sei mesi per il compimento dell’ufficio. Il provvedimento odierno del Tribunale Amministrativo trae la sua origine da un contenzioso instauratosi con funzionari dipendenti dell’Amministrazione della giustizia destinatari della vicedirigenza conclusosi favorevolmente per i ricorrenti con la sentenza n.4266/2007 passata in giudicato e giammai osservata dalla P.A. Il Governo per far venir meno gli effetti dell’ordinanza ha assestato il colpo definitivo con l’abrogazione per tutti dell’istituto della vicedirigenza compiendo un atto sicuramente inaccettabile dal punto di vista logico etico e politico. Non è più possibile governare con tali sistemi che sanno poco di democrazia. La Dirstat ha proclamato lo stato di agitazione programmando anche azioni di scioperi. E’giunto il momento che le forze politiche che appoggiano questo governo -tecnico per modo di dire -prendano atto che perdono il consenso quotidianamente sempre più.

Pietro Paolo Boiano