
A febbraio nell’area euro i disoccupati hanno toccato il 10,8%, il livello più alto dal giugno 1997; in Italia la percentuale è salita al 9,3% della popolazione attiva con un tasso tra i giovani al 31,9%, i peggiori numeri rispettivamente dal 2004 e dal 1999. I dati Istat ed Eurostat giunti ieri non fanno sorridere e descrivono una realtà quanto mai chiara, come scrive il CORRIERE DELLA SERA: "Mai così tanti disoccupati da quando c’è la moneta unica e soprattutto tra i giovani: da noi uno su tre non trova lavoro, in Europa uno su cinque (il tasso è del 21,6%)". Questa l’analisi sul SOLE 24 ORE dell’economista Carlo Dell’Aringa. Le donne attive nel mercato del lavoro sono 240 mila in più. E’ il classico effetto del lavoratore ‘addizionale’. Quando i redditi familiari sono in sofferenza, a causa di perdita di posto di lavoro o di riduzione del salario reale da parte dei cosiddetti lavoratori primari – i maschi adulti – gli altri componenti della famiglia, sino a quel momento inattivi, decidono di entrare sul mercato in cerca di lavoro, per portare a casa un reddito aggiuntivo (addizionale appunto) che possa risollevare i magri bilanci familiari. Dopodiche’ non e’ detto che il lavoro si trovi: qualcuno ci riesce, ma molti no. Delle 250 mila donne in piu’ che hanno deciso di entrare nel mercato, poco meno di 70 mila hanno trovato lavoro. Il resto lo sta cercando. Molte di queste sono giovani. Su questo versante ogni mese che passa si batte un record: la disoccupazione giovanile si avvicina al 32 per cento! La probabilita’ per un giovane di rimanere disoccupato e’ almeno quattro volte maggiore di quella di un adulto. Non c’e’ Paese sviluppato che conosca un grado di dualismo di questa portata. Pesa la crisi economica nella quale siamo ripiombati. Senza crescita non ci sono posti di lavoro aggiuntivi. Pesa anche un funzionamento del mercato del lavoro che penalizza troppo i giovani. (à) Rimane molto da fare sul tema della ‘occupabilita’. Su questo terreno abbiamo accumulato ritardi enormi. (à) Abbiamo poi una attivita’ di orientamento nettamente insufficiente, con molti giovani che scelgono la scuola e l’universita’ sbagliate. La nostra offerta formativa e’ poi lacunosa: non abbiamo, come molti altri Paesi invece hanno – dopo la scuola secondaria – un percorso parallelo a quello universitario, di tipo tecnico-professionale. Infine la transizione dalla scuola al lavoro e’ un percorso accidentato, con periodi brevi di occupazione alternati a frequenti periodi di disoccupazione e inattivita’. Scarsissimo e’ l’aiuto che i nostri giovani ricevono, in questa difficile e importante fase della loro vita, dai servizi all’impiego. La riforma vuole riformare questi ultimi. (à)".
In merito a "come aprire il mondo chiuso del lavoro" sempre il CORRIERE DELLA SERA pubblica la terza parte di un intervento del senatore Pd Pietro Ichino secondo cui anche in Italia serve un "modello nordico".
"Perche’ gli italiani hanno tanta paura di questo mercato del lavoro e cercano di tenersene alla larga piu’ di quanto accada nella maggior parte degli altri Paesi industrializzati? Perche’ la disoccupazione resta cosi’ alta e, mediamente, di cosi’ lunga durata? Una risposta alla prima domanda e’ che quattro quinti degli occupati hanno un contratto a tempo indeterminato, mentre per i nuovi contratti che si stipulano il rapporto si inverte: quattro quinti, o giu’ di li’, sono a termine. Gli occupati dunque temono, passando da un’azienda a un’altra, di peggiorare la propria condizione di sicurezza. Per aumentare la mobilita’ dei lavoratori occorre far si’ che il contratto a tempo indeterminato torni a essere la forma normale di assunzione.
E per questo e’ indispensabile rendere l’assunzione a tempo indeterminato piu’ appetibile per le imprese, allentando almeno un poco i vincoli oggi fortissimi allo scioglimento del rapporto per motivi economici od organizzativi". Una risposta alla seconda domanda e’ nel fatto che l’Italia ha un tessuto produttivo che e’ "come una cittadella fortificata, da cui chi e’ dentro difficilmente esce, ma in cui chi e’ fuori difficilmente riesce a entrare. Molto vicina all’Italia, in questa diagonale, troviamo la Germania: essa infatti e’ ben conosciuta come il Paese con il mercato del lavoro piu’ rigido dopo quello italiano (con la differenza, pero’, di un’economia complessivamente molto piu’ forte e capace di autofinanziarsi)". Poi ci sono i "Paesi scandinavi: quelli dove piu’ che in qualsiasi altra regione del mondo si sperimenta la coniugazione di una buona flessibilita’ delle strutture produttive con una forte sicurezza economica e professionale del lavoratore. Qui ogni mese fra i 30 e i 40 disoccupati ogni 100 ritrovano l’occupazione; e se si considera che in quei Paesi il sistema garantisce loro un robusto e universale sostegno del reddito nei periodi (mediamente brevi) di disoccupazione, si comprende perche’ essi accettino un regime di relativa facilità del licenziamento per motivi economici od organizzativi. Quello che il governo Monti si propone e’ di incominciare a spostare il nostro Paese lungo questa diagonale, in direzione del modello nord-europeo. Oggi, in Italia, predomina una concezione ‘proprietaria’, per la quale il posto si puo’ perdere soltanto a seguito di una colpa molto grave, oppure del fallimento dell’impresa. Finchè questa sarà la concezione dominante, e a questa corrispondera’ la struttura giuridica del rapporto di lavoro e l’orientamento dei giudici, sara’ sempre difficile, nel nostro Paese, conquistarsi un lavoro non precario. Anche perche’ molte delle nostre imprese tenderanno a limitare al minimo indispensabile i ‘condomini’ in casa propria, e le imprese straniere preferiranno investire altrove.