Lavoro: round negoziale la prossima settimana, resta il nodo risorse

Dopo l’annullamento dell’incontro di giovedì scorso, dovrebbe tenersi la prossima settimana il nuovo round della trattativa tra governo e parti sociali sulla riforma del lavoro. Il problema che ha consigliato il rinvio di ulteriori tavoli negoziali è stato quello delle risorse da destinare al sostegno degli ammortizzatori sociali, che viene calcolato dai sindacati in almeno 2,2 miliardi. Elsa Fornero, ministro del Welfare, conferma intanto che l’esecutivo ha intenzione di siglare un accordo in tempi brevi, possibilmente entro marzo: ‘Sulla riforma del mercato del lavoro lavoriamo e stiamo lavorando. Il tavolo lo convocheremo a brevissimo’. Susanna Camusso, segretaria della Cgil, che da domani sarà a New York fino a domenica per partecipare a una iniziativa delle Nazioni Unite sulle questioni del lavoro e dello sviluppo, intervenendo all’assemblea straordinaria delle Camere del lavoro conferma che anche i sindacati sono intenzionati a siglare un accordo che ritengono possibile. Avverte pero’ che se il governo dovesse decidere ‘autonomamente’ la risposta ‘non sarà uno sciopero generale, la fiammata di un giorno, ma la costruzione di un movimento che durera’ attraverso un percorso di mobilitazione da mettere in campo’. Quanto ai contenuti dell’accordo, la leader della Cgil spiega: ‘Deve puntare sulla lotta alla precarieta’ e sull’allargamento delle tutele con un sistema di ammortizzatori sociali universale, senza togliere a chi ha e dare poco a chi verra’ come è successo con la riforma delle pensioni’. Da qui l’appello unitario a Cisl e Uil affinchè i sindacati continuino a sostenere obiettivi comuni. Domenica scorsa il ministro Fornero, in una lettera inviata a ‘la Stampa’, aveva messo a punto la posizione dell’esecutivo: ‘Senza una riforma complessiva del mercato del lavoro, che renda il mercato stesso funzionale e dinamico, il sistema produttivo italiano non riuscirà a risollevarsi’. La responsabile del Welfare ha indicato due questioni prioritarie: ‘Un adeguato grado di buona flessibilita’ nell’utilizzo del lavoro stesso da parte delle imprese e un adeguato sistema di strumenti – assicurativi e assistenziali – che consentano ai lavoratori e alle imprese di gestire il cambiamento e il rinnovamento strutturale, anzichè subirli’. Sulle risorse da destinare alla riforma del lavoro, la segretaria della Cgil propone la ‘spending review’, l’analisi dei capitoli di spesa dei singoli ministeri per individuare le voci passibili di taglio in modo da evitare inefficienze e sprechi di denaro. Per la Camusso, il governo dovrà anche illustrare i dettagli del nuovo sistema di ammortizzatori sociali: dalla durata della cassa integrazione ordinaria e straordinaria ai requisiti per accedervi. La leader della Cgil sottolinea inoltre che ‘la riforma del mercato del lavoro va fatta ma non ci piace che la si contrabbandi come operazione per la crescita’. Sull’articolo 18, i sindacati non mutano posizione: ‘Continuiamo a pensare che non sia al centro della trattativa. Non c’e’ ragione di intervenire, non c’e’ una sola ragione che ci possa far cambiare opinione’. Sul tema delle risorse convergono Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, e Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, che propongono di attingere dal gettito risparmiato con la riforma delle pensioni. Il suggerimento ha poche chance di essere accolto perchè dal governo si ricorda che la recente riforma delle pensioni deve contribuire a ridurre il deficit dello Stato e a raggiungere entro il 2013 il pareggio di bilancio. Per le stesse ragioni, l’esecutivo punta ad abolire la cassa integrazione straordinaria per imprese e aziende ritenute decotte e in continua ristrutturazione, in modo da tagliare costi ritenuti superflui e meramente assistenziali. Secondo i dati forniti dal governo, l’Italia spende attualmente una trentina di miliardi l’anno per gli ammortizzatori sociali ed è in linea con la spesa a questo riguardo degli altri paesi dell’eurozona, pur restando distante dagli standard dei paesi del nord Europa, a iniziare dalla Danimarca, che adottano il modello di flexsecurity a cui guarda la trattativa in corso sulla riforma del lavoro. In quei paesi la spesa media per disoccupato è quattro volte superiore a quella italiana.