Lavoro, il partito del non accordo

"Il partito del non accordo cresce e si ingrossa. Dietro le quinte. Forse la frase di Monti di due giorni fa a Milano davanti al gotha della finanza nazionale (‘faremo la riforma del mercato del lavoro con o senza intesa con i sindacati’) non esprimeva solo tattica negoziale. Forse indicava la prospettiva piu’ realista: ciascuno per la sua strada. Il negoziato si è ingolfato – scrive in un retroscena Roberto Mania su Repubblica -, complicato, sfilacciato. Un accordo a tutti costi, imposto dal senso della responsabilità politica, dalle direttive della Commissione europea e dall’Eurotower di Francoforte, e nel segno della pace sociale, convince sempre meno. Sindacati, Confindustria, le associazioni delle banche e delle piccole imprese rappresentano interessi e temono di poter far perdere qualcosa ai propri iscritti. La riforma delle pensioni varata a dicembre dal governo dei tecnici in pochi giorni sotto l’emergenza di uno spread che allungava paurosamente il passo, è stata mal digerita non solo dai sindacati, ma anche dai piccoli artigiani e dallo stesso sistema industriale che oggi non ha piu’ a disposizione l’"uscita di sicurezza" delle pensioni di anzianita’ per ristrutturarsi a spese della collettivita’. Oggi prevale lo spirito di conservazione. D’altra parte e’ stato lo stesso Monti a dire che al tavolo negoziale non e’ presente ‘la vera costituency’ del governo, cioe’ i giovani. E allora, il nervosismo crescente della giornata di ieri si spiega anche cosi’, in questo contesto rannuvolato. Prima il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che va all’attacco del governo dicendo che sta cercando di far saltare la trattativa, poi il responsabile del Pd Stefano Fassina che adombra un percorso vietnamita per la riforma in Parlamento se dovesse arrivarvi senza l’intesa con i sindacati. In serata e’ il segretario dei democratici, Pier Luigi Bersani, che critica Monti e avalla la tesi del suo fedelissimo: il si’ del Pd all’eventuale riforma del mercato del lavoro non sara’ affatto scontato se in calce non ci saranno le firme di Cgil, Cisl e Uil. Infine il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, che deraglia, parlando a Firenze all’assemblea degli industriali metalmeccanici, e accusa i sindacati di difendere i fannulloni ma anche ‘i ladri’. Poi c’è stata la marcia indietro (‘ho sbagliato’, ha ammesso). Ma certo quei toni non li aveva mai usati. E tutto questo dà il segno che il clima è mutato. In peggio. Lo spartiacque e’ costituito dal piano del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, sugli ammortizzatori sociali. Da quel giorno il partito del non accordo o della conservazione ha cominciato a pensare di serrare le fila. Alla Fornero si rimprovera una eccessiva vaghezza: quali sono le risorse per i nuovi ammortizzatori sociali? chi pagherà di più e chi di meno? per quanto tempo i lavoratori riceveranno i sussidi? quale sara’ l’importo? Domande senza risposte che hanno fatto crescere le preoccupazione accanto alla convinzione che possa essere una riforma a perdere. ‘Senza una proposta di merito – dice uno dei protagonisti del negoziato – ciascuno si chiude nel proprio fortino’. Che nella trattativa manchi qualche raccordo lo dimostra il caso della Cisl. Il sindacato di Via Po ha avanzato la sua proposta per superare l’impasse sull’articolo 18, suggerendo di escludere dal reintegro i licenziamenti individuali per motivi economici, sostituendolo con due anni di indennita’ di mobilita’. Un’apertura importante, condivisa peraltro dallo stesso Fassina che rappresenta l’ala laburista del partito che andra’ in piazza con la Fiom il 9 marzo contro il governo e per difendere l’articolo 18. L’esecutivo anziche’ valorizzare pro tempore al tavolo la proposta cislina, poi magari decidendo in altro modo, l’ha subito affossata proponendo di abolire l’indennita’ di mobilita’ insieme alla cassa integrazione straordinaria. E’ facile capire che Bonanni non l’abbia presa bene, tanto piu’ che insieme agli altri sindacati intende alzare la barricate per bloccare l’ipotesi che i contribuiti previdenziali di coloro che andranno in cassa integrazione con le possibili nuove regole saranno calcolati sull’importo del sussidio e non sull’ultima retribuzione con danni per il calcolo della pensione. Poi ci sono le piccole imprese che non hanno alcuna intenzione di dovere pagare per la cassa integrazione visto che nella crisi l’hanno ottenuta senza versare quasi nulla con il meccanismo della deroga. Anche la Confindustria teme un aumento dei costi pur sentendo di essere a un passo dalla meta sul fronte dei licenziamenti. La riforma – con o senza accordo – la vuole il Pdl, quasi per compensare lo smacco che ha subi’to il suo elettorato sulle liberalizzazioni. E tutto questo senza considerare il capitolo esplosivo dell’articolo 18 che per la Cgil rimane intangibile. Cosi’ il barometro, in questi giorni, segna riforma senza accordo".