Commercio: contraffazione e pirateria business da 6 mld l’anno

Contraffazione e pirateria sono un bussiness miliardario che sempre più attira l’attenzione della criminalità organizzata in Italia, anche in ‘sinergia’ con organizzazioni criminali internazionali. Lo rileva la Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale esaminata oggi in Aula, che fotografa un fenomeno sempre più allarmante. ‘Secondo Sos Impresa – Confesercenti – riferisce lo studio – per il mercato italiano il valore della contraffazione si attesterebbe su una cifra pari a 6,5 miliardi di euro. La Dia, invece, individua un valore compreso tra 3,5 e 6 miliardi di euro. Secondo Confindustria, il valore complessivo dei prodotti contraffatti, solo in Italia, ammonterebbe a 7 miliardi di euro, mentre, a livello mondiale, l’Ocse ha stimato che il commercio costituito da tali merci riguarderebbe l’8 per cento del totale. E una ricerca pubblicata dal Censis nell’aprile 2009, evidenzia come il commercio del falso nel nostro paese, con il solo riferimento al mercato interno (senza dunque considerare la quota di merci contraffatte che partono dall’Italia verso l’estero), abbia prodotto, nel 2008, un fatturato di 7 miliardi 109 milioni di euro, con una perdita per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali, tra imposte dirette e indirette, di circa 5 miliardi 281 milioni di euro: il 2,5 per cento del totale del gettito dello Stato. La totale sconfitta del fenomeno – sempre secondo la ricerca del Censis – garantirebbe in Italia quasi 130 mila nuovi posti di lavoro. A livello sociale, infatti, i danni che le imprese subiscono a causa della contraffazione e della pirateria si riflettono anche sul numero dei posti di lavoro da esse offerti: 250.000 e’ la stima dei posti di lavoro persi negli ultimi 10 anni a livello mondiale, di cui 100.000 circa nella sola Unione europea.
Le confische di beni contraffatti avvenute all’interno dell’Unione europea durante l’anno 2000 ammontavano a quasi 68 milioni di beni, per passare a circa 95 milioni nel 2001.
A fronte di un dato quasi costante per il 2002 e il 2003, rispettivamente di circa 85 milioni di beni e di circa 92 milioni, il 2004 e il 2006 hanno registrato un deciso incremento dei sequestri: piu’ di 103 milioni di oggetti sequestrati nel 2004 e piu’ di 128 milioni nel 2006, dopo che il 2005 aveva fatto registrare una certa flessione, con un dato vicino ai 76 milioni di oggetti.
Dalle indagini e dai sequestri effettuati emerge che il paese da cui proviene in assoluto gran parte delle merce falsa e’ la Cina, poiche’ in questo paese si combinano una serie di elementi favorevoli.
Ma nel business della pirateria una parte di responsabilita’ va anche ai consumatori, almeno per i prodotti non alimentari o farmaceutici: cd, dvd, capi di abbigliamento o accessori, appaiono al consumatore del tutto simili a quelli originali, anche in termini di sicurezza e risultano convenienti.
Secondo un’indagine quali-quantativa condotta su un campione di 4000 consumatori, in Italia, il 90 per cento degli intervistati (con punte del 93 per cento nel Nord-est e nel Nord-ovest) dichiara di essere oggi a conoscenza del rischio di sanzioni amministrative derivanti dall’acquisto di prodotti contraffatti, tuttavia il fattore ‘prezzo’ gioca un ruolo fondamentale nella motivazione che spinge all’acquisto. Dichiarano di essere disposti a correre dei rischi sia pecuniari, sia di salute pur di ottenere un effettivo risparmio economico. Di piu’: non riscontrano particolari difetti di qualita’ o relativi ad una maggiore rapidita’ d’usura nei prodotti falsi se paragonati a quelli originali. Inoltre, rileva la Commissione, il 72,9 per cento degli intervistati non si sente ‘in colpa’ nei confronti del fisco, ne’ per il fatto di contribuire ad alimentare gli interessi della criminalita’ organizzata, ne’ per il danno economico arrecato al paese.
Cio’ testimonia una volta di piu’ che l’acquirente di prodotti contraffatti attribuisce fondamentale rilievo alla propria convenienza personale. Sorprendentemente, chi dichiara di avere acquistato merce contraffatta, esprime soddisfazione rispetto a tali prodotti ed intende ripetere l’acquisto con cio’ indicando una sorta di ‘normalizzazione’ del comportamento rispetto a tali acquisti. Una tale situazione deve dunque allertare le istituzioni preposte al monitoraggio, prevenzione e repressione del fenomeno. Sul fronte del contrasto, dal 2008 al 2009, l’Italia passa dal 5 per cento all’11 per cento del totale dei sequestri in Europa (dove nel 2009 sono diminuiti), con un incremento dei propri risultati del 42 per cento sul 2008 (se escludiamo i tabacchi, l’Italia passa dal 4,5 per cento nel 2008 al 17,1 per cento nel 2009); l’Italia e’ al terzo posto su 27 paesi; l’Italia registra risultati superiori a paesi che, nei settori a rischio, vantano importazioni dalla Cina (paese di origine del 65 per cento delle merci sequestrate) molto maggiori dell’Italia (per esempio, con riferimento all’import di abbigliamento dalla Cina, nel 2009, l’Italia registra un valore di 185.000 tonnellate, la Germania di 440.000, il Regno Unito di 370.000, la Spagna di 260.000 e la Francia di 190.000). Secondo i dati acquisiti, Germania, Regno Unito, Francia e Spagna, nel 2009, hanno importato in totale dalla Cina il 60 per cento dell’abbigliamento, realizzando tuttavia solo il 19 per cento dei sequestri di merci contraffatte. Le dogane italiane, pur in presenza di un volume di importazioni inferiori, hanno invece realizzato un numero di sequestri triplo rispetto a quello di Germania, Regno Unito e Spagna e del 50 per cento in piu’ rispetto alla Francia. Nel 2008, 36.770 operazioni di polizia hanno portato all’arresto di 1.303 persone, alla denuncia in stato di liberta’ di altri 11.590 soggetti e all’irrogazione di 27.728 sanzioni amministrative. La dimensione dei sequestri dimostra l’imponenza dei traffici sottesi: sono stati rimossi dal mercato 30 milioni 179.505 oggetti contraffatti, tra cui 2 milioni 479.166 pezzi di varia natura, 18 milioni 742.894 capi nel settore tessile, dell’abbigliamento e della pelletteria, 4 milioni 367.766 oggetti tra giocattoli, libri e cartoleria, 2 milioni 158.255 prodotti audio-video, 869.831 confezioni nel settore dei prodotti farmaceutici, cosmetici e chimici e 65.709 prodotti alimentari. Per quanto riguarda il settore alimentare, recenti atti giudiziari hanno portato alla luce un fitto intreccio di interessi tra famiglie mafiose siciliane, clan camorristici e ‘ndrangheta calabrese nella gestione dell’intera filiera, che va dall’accaparramento dei terreni agricoli alla produzione, dal trasporto su gomma allo stoccaggio della merce, dall’intermediazione commerciale alla fissazione dei prezzi, fino ad arrivare agli ingenti investimenti destinati all’acquisto di catene di supermercati o interi centri commerciali. Il settore agroalimentare rappresenta per le organizzazioni criminali un ambito privilegiato di impiego dei proventi illeciti, anche in termini di riciclaggio.
Eppure, rileva la Commissione, ‘non e’ ad oggi prevista la competenza della procura distrettuale antimafia e quindi il coordinamento della procura nazionale antimafia per l’associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di condotte di contraffazione delle indicazioni di origine in materia agroalimentare’. ‘Tali problemi di coordinamento tra norme’, osserva, ‘andrebbero senza dubbio rimossi in quanto e’ stato ampiamente accertato che Cosa nostra, la ‘ndrangheta e la camorra sono sempre piu’ interessate al settore agroalimentare’.