Se la politica non saluta nè Verzè nè Tremaglia

"Anche il proverbio invecchia: ‘Chi muore giace e chi rimane si dà pace’. Bisogna aggiornarlo così: ‘… e chi rimane si dà alla fuga’. Ai funerali di don Luigi Verzè, fondatore dell’ospedale San Raffaele, il migliore d’Italia, un’autentica eccellenza europea, i big della politica non c’erano". Lo rileva Vittorio Feltri sul Giornale. "In effetti, si sono notate di più le assenze delle presenze, a dimostrazione che per chi finisce in disgrazia finiscono anche le amicizie. Negli ultimi tempi il prete ultranovantenne, che aspirava ad allungare la vita (attiva) degli uomini, era stressato. Dopo mezzo secolo e passa di lavoro, dopo avere concepito e realizzato un’opera grandiosa, dopo avere aiutato una folla di ammalati, dopo avere intessuto relazioni con personaggi importanti di ogni campo, è stato abbandonato da tutti. Peggio: denigrato, oltraggiato, sfottuto, fatto oggetto di satira meschina e volgare. Un comico gli ha augurato di tirare le cuoia, ignorando che l’evento più probabile della vita è la morte; se poi quella vita si è accesa nel 1920, e se da quattro-cinque mesi viene presa a sputi da una pubblicistica crudele, preconizzarne la conclusione non significa essere buoni profeti, ma iettatori, avvoltoi, sciacalli. Don Verze’ era angosciato perche’ i conti dell’ospedale erano in disordine, un buco di un miliardo. Un disastro provocato da chi e da che cosa? C’e’ poco da fantasticare. Non e’ il caso di pescare nell’inesauribile bagaglio della dietrologia come hanno fatto molti signori dell’informazione. Macche’ bella vita. A 91 anni il problema non e’ il bunga bunga o roba del genere. Ne’ la mania di grandezza, che don Luigi peraltro non aveva. Si vada piuttosto a indagare nel novero dei fornitori e si verifichi se sono diventati ricchi e come. Si controllino le fatture, se sono proporzionali alla quantita’ di merce e dei servizi forniti. Il sacerdote veronese non era un amministratore diffidente, ma fiducioso nel prossimo, e chissa’ quanti lo hanno fregato. Sia come sia, nel momento in cui e’ stato travolto dalla macchina giudiziaria e dai resoconti malignazzi dei gazzettieri, egli e’ piombato in una sorta di depressione, gli sembrava di subire un’ingiustizia.E di ingiustizia si trattava. Una creatura stupenda quale il San Raffaele non puo’ essere dimenticata ne’ sottovalutata solo perche’ e’ in difficolta’ finanziarie. E il suo creatore non puo’ essere considerato di punto in bianco un malfattore, trascurando che fino a ieri era portato in palmo di mano. Se e’ vero che gli alberi si giudicano dai frutti, e gli uomini dalle opere, don Luigi non meritava di essere bastonato: cio’ che ha fatto e’ li’ da ammirare, un ospedale modello di efficienza anche nella ricerca oltre che nella cura degli ammalati. Niente da fare. Hanno deciso di dargli addosso e lo hanno massacrato, inventandosi perfino che fosse spretato mentre era stato semplicemente richiamato per avere celebrato una messa fuori dalla sua ‘giurisdizione’. Capirai che ‘reato’. Circondato da una fitta siepe di balle, insultato e dileggiato da un crescente numero di metaforici lapidatori, il prete dei malati si e’ sentito solo e indifeso, e solo e indifeso e’ morto. Finito il 2011 e’ finito anche lui. Morire di crepacuore non e’ di moda. E’ un privilegio – o una condanna, dipende dalle opinioni- riservato a gente all’antica, galantuomini d’altra epoca impregnati di valori scartati come cascami retorici dal rampantismo globalizzato. Non sono state esequie solenni. Una cerimonia sbrigativa, pochi dolenti, alcuni quasi imbarazzati; il canto vibrante di Al Bano, che ha intonato l’Ave Maria,e’ stato l’unico omaggio genuino reso al prete dimenticato. Non da tutti pero’: Massimo Cacciari c’era e gli ha portato la sua testimonianza di collaboratore fedele; c’erano anche Vittorio Sgarbi, l’attore Renato Pozzetto, l’ex ministro Ferruccio Fazio, Guido Podesta’, presidente della Provincia di Milano, e Vittorio Malacalza, consigliere d’amministrazione della Fondazione San Raffaele. Pochi ma buoni. Sono mancati all’ultimo appuntamento con don Verze’ troppi ex amici.
Probabilmente colpiti dalla sindrome rancorosa del beneficato, assai diffusa tra gli umani inclini a considerare la gratitudine il sentimento della vigilia. Cosicche’ don Luigi e’ stato portato via in fretta come un qualunque curato di campagna. L’indagine su di lui si archivia. Ma il San Raffaele resta dov’e’, a disposizione dell’umanita’ sofferente. E chi vi trovera’ sollievo si ricordera’ di chi l’ha fondato. Ieri si e’ svolto un altro funerale, quello di Mirko Tremaglia, detto il federale di Bergamo, politico buono e ingenuo, schietto e illuso, tra i fondatori del Msi. Suo figlio Marzio, morto di tumore anni fa, giovane intellettuale dal cervello fino, disse di lui una battuta folgorante: ‘Mio padre parti’ a 18 anni per la Repubblica sociale di Salo’ e non e’ ancora tornato ‘. Un modo affettuosamente ironico per sottolineare che Mirko e’ stato fascista e non ha mai smesso di esserlo. Alle sue esequie hanno presenziato tutti gli orobici impegnati in politica. La prova che Tremaglia era stimato anche dagli avversari. Mancava solo Gianfranco Fini, in altre faccende affaccendato: oggi compie 60 anni e i compleanni si festeggiano; niente lacrime per i camerati morti".