Grande è il Signore e degno di ogni lode

Dal Salmo 96
Grande è il Signore e degno di ogni lode

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli.

Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.

di Ettore Sentimentale

La natura letteraria di “inno alla regalità” di Jahwe emerge direttamente dall’ultimo versetto (10) della nostra selezione che sostanzialmente comprende i 2/3 dell’intero salmo.
L’orante inaugura il suo canto di lode invitando tutto e tutti a gioire con lui per l’ultima meraviglia che il Signore ha operato. Quale? Verosimilmente la liberazione dalla schiavitù babilonese, descritta con toni di grande impatto emotivo dal profeta Isaia nei capp. 40-66 (libro delle consolazioni perché si apre con un urlo di beatitudine: “Consolate, consolate il mio popolo…gridate al cuore di Gerusalemme che è finita la sua schiavitù”).
Davanti a un fatto così sorprendente (reso possibile dall’editto di Ciro nel 538 a.C. a cui fa riferimento la prima lettura di questa domenica) e riletto come opera più mirabile rispetto all’Esodo, il salmista dà libero sfogo alla sua gioia invitando l’universo intero a unirsi alla sua lode.
Il tono iniziale di questo inno è contrassegnato dalla “novità” (“cantate al Signore un canto nuovo”) non tanto perché si tratta di una nuova composizione melodica, quanto perché l’autore si è accorto che il Signore ha fatto “una cosa nuova… proprio ora” (Is 43,19).
Con quale atteggiamento bisogna rispondere a questa iniziativa divina? Con il rispetto, perché Jawhe è “terribile”, cioè incute il timore di “smarrimento” di cui parlano anche gli evangelisti quando descrivono la reazione dei presenti ai “segni prodigiosi” di Gesù (cfr. Mc 1,27).
Sta di fatto che il cuore del salmista trabocca di esultanza e montando le singole tessere del puzzle della storia (salvifica) di Israele, chiama a raccolta ogni famiglia alla giusta venerazione di Jawhe, mettendola in guardia della differenza abissale fra la “grandezza di Dio” e la “nullità degli dèi”. Gli stessi idoli che un altro salmo sarcasticamente deride: “Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono…”(Sal 115,5).
Il nostro inno si chiude con l’invito a entrare “nell’atrio santo del Signore” per dare fiato al nostro desiderio di esultanza, quasi fossimo in un contesto di liturgia di “investitura regale”. Il salmista, però, continua precisando la modalità con la quale Dio regna: “giudicando i popoli con rettitudine”.
Non conosciamo i dettagli di questa particolare investitura; vediamo però con rammarico certi cerimoniali (forse sarebbe più opportuno chiamarli “messinscene”) nei quali vengono investiti gli appartenenti ad alcuni ordini cavallereschi… Mi auguro che anche costoro vogliano veramente che Dio regni sul mondo, essendo interpreti della rettitudine divina.